Profeti e re
Capitolo 12: Da Izreel a Oreb
Con la morte dei profeti di Baal era iniziata una nuova fase per attuare una profonda riforma spirituale fra le dieci tribù del regno d’Israele. Elia aveva denunciato l’apostasia del popolo e lo aveva invitato a umiliarsi e a ritornare al vero Dio. I giudizi del cielo erano stati eseguiti, gli israeliti avevano confessato i loro peccati e riconosciuto il Dio dei loro padri come un Dio vivente. Ora la maledizione sarebbe stata revocata e rinnovate le benedizioni materiali. La terra sarebbe stata finalmente rinfrescata dalla pioggia. PR 88.1
Elia disse ad Acab: “Ora va’ pure a mangiare e a bere, perché si sente già il rumore della pioggia”. 1 Re 18:41. Poi il profeta salì in cima al monte a pregare. PR 88.2
Nessun segno premonitore di un temporale imminente aveva indotto Elia ad avvertire Acab di prepararsi per la pioggia. Il profeta non aveva visto nessuna nube in cielo, non aveva udito nessun tuono. Egli pronunciò semplicemente le parole che lo Spirito del Signore gli suggeriva in risposta alla sua grande fede. Per tutto il giorno aveva compiuto con fermezza incrollabile la volontà divina e manifestato la sua implicita fiducia nelle profezie delle Scritture. Dopo aver fatto tutto ciò che poteva, sapeva che Dio avrebbe accordato ricche benedizioni. Lo stesso Dio che aveva mandato la siccità aveva promesso pioggia abbondante a tutti coloro che si sarebbero comportati correttamente. Elia attendeva quindi che piovesse. Manifestando la sua umiltà, con “la testa fra le ginocchia” intercedeva ora presso Dio in favore di un Israele pentito. PR 88.3
Elia mandò ripetutamente il suo servitore in un punto in cui si scorgeva il Mediterraneo, per vedere se vi fosse qualche segno visibile indicante che Dio aveva udito la sua preghiera. Ma ogni volta il servitore tornava dicendo: “Non c’è niente”. Il profeta non diventò impaziente né perse la sua fede e continuò a pregare con fervore. Per sei volte il servitore ritornò affermando che non vi era nessun segno di pioggia nel cielo limpido. PR 88.4
Elia, fermo nella sua convinzione, lo inviò ancora una volta e quando tornò pronunciò queste parole: “Una piccola nube, non più grande del palmo di una mano, sta salendo dal mare”. Era quanto bastava. L’uomo di Dio non attese che il cielo si oscurasse. In quella piccola nuvola egli vide per fede una pioggia abbondante e con questa fede mandò il suo servo da Acab per dirgli: “Attacca i cavalli al carro e scendi, che la pioggia non si fermi”. 1 Re 18:44 (Luzzi). PR 88.5
Elia era un uomo di grande fede e Dio si servì di lui in questo grave momento di crisi della storia d’Israele. Pregando, la sua fede si rafforzava e si appropriava delle promesse divine. Egli perseverava nella preghiera fino a quando non vedeva esaudite le sue richieste. Elia non si aspettava l’adempimento completo, ma la prova che Dio lo avesse ascoltato ed era pronto a rischiare tutto contando su un semplice segno del consenso divino. Tutti coloro che lavorano per il Signore possono fare ciò che ha fatto Elia, perché del profeta dei monti di Galaad sta scritto: “Il profeta Elia era soltanto un uomo come noi. Egli pregò con insistenza chiedendo che non venisse la pioggia e non piovve sulla terra per tre anni e sei mesi”. Giacomo 5:17. PR 89.1
Oggi gli uomini hanno bisogno di una fede simile a quella di Elia: una fede che sa cogliere le promesse divine e permette di implorare Dio fino alla certezza di essere stati esauditi. Questa fede ci unisce maggiormente al Signore e ci dà la forza necessaria per lottare contro il male. Grazie alla fede i figli di Dio “conquistarono paesi, praticarono la giustizia, ottennero ciò che Dio aveva loro promesso. Chiusero le fauci dei leoni, riuscirono a spegnere fuochi violenti, evitarono di essere uccisi con la spada. Essi erano deboli e diventarono forti, furono potenti in battaglia e cacciarono indietro invasori stranieri”. Ebrei 11:33, 34. Per fede possiamo raggiungere gli obiettivi che Dio ci propone. “...Tutto è possibile per chi ha fede”. Marco 9:23. PR 89.2
La fede è un elemento indispensabile della preghiera efficace. “...chi si avvicina a Dio deve credere che Dio esiste e ricompensa quelli che lo cercano” (Ebrei 11:6); “...egli ci ascolta se gli chiediamo qualcosa secondo la sua volontà. Sapendo dunque che Dio ascolta le nostre preghiere, noi abbiamo la certezza di possedere già quello che gli abbiamo chiesto”. 1 Giovanni 5:14, 15. PR 89.3
Con la fede perseverante di Giacobbe, con l’ostinata insistenza di Elia, possiamo presentare le nostre richieste al Padre, credendo in tutte le sue promesse. L’onore del suo trono dipende dall’adempimento della sua parola. PR 89.4
Le ombre della sera calavano sul monte Carmelo mentre il re Acab si preparava a scendere. “Nel frattempo il cielo si era riempito di nuvole scure e il vento si era messo a soffiare. Poi cominciò a piovere a dirotto. Acab tornò con il suo carro nella città di Izreel”. 1 Re 18:45. Mentre procedeva verso la città reale, sotto la pioggia accecante e le fitte tenebre, non era in grado di scorgere la strada davanti a sé. Elia, che quel giorno lo aveva umiliato davanti ai suoi sudditi e aveva messo a morte i suoi profeti idolatri, lo riconosceva ancora come re d’Israele e ora, come atto di omaggio, grazie alla potenza di Dio, si mise a correre davanti al carro reale guidando così il re fino alla porta della città. PR 89.5
In questo atto di cortesia da parte del messaggero di Dio verso un re malvagio c’è un esempio per tutti coloro che si dicono servitori di Dio, ma sono molto orgogliosi. Alcuni, infatti, si considerano superiori e non vogliono abbassarsi a compiere doveri che ritengono servili. Essi esitano addirittura a offrire un certo servizio per paura di svolgere un compito troppo umile. PR 90.1
Quanto avrebbero da imparare dall’esempio di Elia! Alla sua parola le benedizioni divine non si erano riversate sulla terra per tre anni e mezzo; Dio lo aveva onorato quando, sul monte Carmelo, il fuoco era sceso dal cielo per consumare l’olocausto. La sua mano aveva eseguito il giudizio di Dio uccidendo i profeti idolatri; la sua preghiera per la pioggia era stata esaudita. E dopo i grandi trionfi con i quali Dio aveva voluto onorare il suo ministero pubblico, Elia era disposto a offrire il servizio di un semplice servo. PR 90.2
Alla porta di Izreel, Elia e Acab si separarono. Il profeta scelse di fermarsi fuori dalle mura della città: si avvolse nel suo mantello e si distese sul nudo suolo per dormire. Il re entrò nella città, e raggiunto velocemente il suo palazzo, raccontò alla regina gli straordinari eventi di quel giorno e la magnifica rivelazione della potenza divina che aveva convinto Israele che l’Eterno era il vero Dio ed Elia il suo messaggero. Ma quando Acab riferì alla regina impenitente e insensibile l’uccisione dei profeti idolatri, ella divenne furibonda. Si rifiutò di riconoscere negli eventi del Carmelo la potenza di Dio e affermò con tono di sfida che Elia doveva morire. PR 90.3
Quella notte un messaggero svegliò il profeta e gli riferì il messaggio di Gezabele: “Mi puniscano gli dèi, se entro domani a quest’ora non ti avrò fatto fare la stessa fine dei profeti”. 1 Re 19:2. PR 90.4
Si potrebbe pensare che dopo aver dato prova di un grande coraggio e ottenuto una così brillante vittoria sul re, sui sacerdoti e sul popolo, Elia non avrebbe mai più provato scoraggiamento né si sarebbe lasciato intimidire da nessuno. Ma colui che aveva sperimentato la protezione divina non era esente dalle debolezze umane, e in quel momento la fede e il coraggio lo abbandonarono. Sconcertato e confuso si alzò. La pioggia continuava a cadere e le tenebre avvolgevano tutto intorno a lui. Dimenticando che tre anni prima Dio gli aveva indicato un luogo sicuro per sottrarsi all’odio di Gezabele e alle ricerche di Acab, il profeta fuggì per salvarsi la vita. Giunse a Bersabea, vi “lasciò il suo servitore e proseguì nel deserto un’altra giornata di cammino”. 1 Re 19:4. PR 90.5
Elia non avrebbe mai dovuto abbandonare il luogo in cui compiere la sua opera. Avrebbe dovuto affrontare la collera di Gezabele, chiedendo la protezione di colui che l’aveva inviato per vendicare l’onore del suo nome, avrebbe dovuto dire al messaggero della regina che il Dio in cui riponeva la sua fiducia lo avrebbe protetto. Erano trascorse soltanto poche ore da quando aveva assistito alla meravigliosa manifestazione della potenza divina. Ciò avrebbe dovuto dargli la certezza che non sarebbe stato abbandonato. Rimanendo dov’era, e facendo di Dio il suo rifugio e la sua forza, sarebbe stato preservato dal male. Il Signore gli avrebbe fatto riportare un’altra vittoria, altrettanto eclatante, inviando a Gezabele un terribile castigo. L’impressione prodotta sul re e sul popolo avrebbe provocato una grande riforma. PR 91.1
Elia si era aspettato molto dal miracolo del Carmelo. Aveva creduto che dopo questa manifestazione della potenza divina, Gezabele avrebbe perso il suo ascendente su Acab e che in Israele si sarebbe operata una rapida riforma. Per tutta la giornata aveva lavorato sulla vetta del Carmelo senza prendere cibo. Eppure quando aveva guidato il carro di Acab fino alle porte di Izreel, aveva dimostrato un coraggio indomito nonostante la forte tensione fisica. PR 91.2
Elia era minacciato dalla reazione che spesso segue quei momenti in cui si manifesta una grande fede e si conseguono vittorie spirituali. Egli temeva che la riforma, iniziata sul monte Carmelo, potesse non essere duratura e così fu vittima dello scoraggiamento. Egli era salito fin sulla vetta del Pisga, ma ora eccolo ridisceso a valle. Mentre sotto l’ispirazione dell’Altissimo era riuscito a superare una prova così severa, in questo momento di avvilimento, con la minaccia di Gezabele che gli risuonava nelle orecchie e con Satana che, apparentemente, aveva preso il sopravvento grazie al complotto di questa donna malvagia, egli perse la sua fiducia in Dio. Dopo l’esperienza della gloria la reazione fu terribile. Dimenticando il Signore fuggì via fino a quando non si trovò in un luogo solitario. Completamente abbattuto sedette per riposare sotto una ginestra e là chiese la morte: “Signore, non ne posso più! Toglimi la vita, perché non valgo più dei miei padri”. Fuggiasco e solitario, lo spirito oppresso dalla più profonda delusione, Elia desiderava non vedere più nessun volto umano. Alla fine, completamente esausto, si accasciò in un sonno profondo. PR 91.3
Tutti possiamo vivere momenti di profonda depressione e di completo scoraggiamento, momenti in cui la tristezza invade l’animo ed è quindi difficile credere che Dio sia ancora il generoso benefattore dei suoi figli terreni, momenti in cui le difficoltà tormentano l’anima a tal punto che la morte è preferibile alla vita. In questi casi molti perdono la fiducia in Dio e diventano schiavi del dubbio e dell’incredulità. Se in quei momenti potessimo comprendere il significato delle scelte divine, vedremmo gli angeli impegnati a salvarci da noi stessi e ad aiutarci a consolidare le basi delle nostre convinzioni, in questo modo una fede e un ardore nuovi potrebbero trasformare tutto il nostro essere. PR 91.4
Nei momenti difficili Giobbe aveva dichiarato: “Maledetto il giorno in cui sono nato...”. Giobbe 3:3; cfr. 6:2, 8-10; 7:11, 15, 16. PR 92.1
Nonostante Giobbe fosse stanco della vita, non gli fu concesso di morire. Lo aspettava un avvenire migliore e ricevette questo messaggio di speranza: “...allora potrai camminare a testa alta, sicuro di te, non avrai più paura di nulla. Dimenticherai i tuoi affanni, e saranno per te acqua passata”. Giobbe 11:15, 16; cfr. 11:17-20. PR 92.2
Dallo scoraggiamento e dall’abbattimento più profondo, Giobbe si rialzò affidandosi completamente alla misericordia e alla potenza redentrice di Dio, gridando trionfalmente: “Io lo so, colui che mi difende è vivo; egli un giorno mi riabiliterà, e, perduta la mia pelle, distrutto il mio corpo, io stesso vedrò Dio. Lo vedrò accanto a me e lo riconoscerò. Lo sento con il cuore, ne sono certo”. Giobbe 19:25-27; cfr. 13:15, 16. PR 92.3
“Poi il Signore stesso, avvolto da un forte vento, parlò a Giobbe...” (Giobbe 38:1) e fece conoscere al suo servitore la sua potenza. Quando Giobbe ricevette la rivelazione del suo Creatore si vergognò di se stesso e si pentì umiliandosi nella polvere e nella cenere. Allora il Signore poté benedirlo abbondantemente e i suoi ultimi anni furono i migliori della sua vita. PR 92.4
La speranza e il coraggio sono indispensabili per un perfetto servizio nei confronti di Dio. Essi sono il frutto della fede. Non è giusto e ragionevole scoraggiarsi. Dio può e desidera accordare ai suoi servitori la forza di cui hanno bisogno per affrontare le prove della vita. I piani dei nemici della sua opera possono sembrare ben elaborati, ma Dio può sventare anche quelli più efficaci. E lo fa al momento opportuno, quando vede che la fede dei suoi servitori è stata sufficientemente provata. PR 92.5
Per gli scoraggiati vi sono dei rimedi sicuri: la fede, la preghiera, l’azione. PR 92.6
La fede e il lavoro generano certezza e soddisfazione che cresceranno giorno dopo giorno. Siete tentati di lasciarvi andare allo scoraggiamento o attribuire importanza a cupi presentimenti? Ebbene, nei giorni più bui, quando tutto apparentemente sembra andare storto, non temete. Abbiate fede in Dio che conosce le vostre necessità e dispone di un potere assoluto; il suo amore infinito e la sua compassione senza limiti non si stancano mai. Non abbiate timore che venga meno alle sue promesse: egli è l’eterna verità e non muterà mai il patto stabilito con coloro che lo amano. Ai suoi fedeli collaboratori Dio concederà quell’efficienza di cui hanno bisogno. L’apostolo Paolo afferma: “”Ti basta la mia grazia. La mia potenza si manifesta in tutta la sua forza proprio quando uno è debole”... Perciò io mi rallegro della debolezza, degli insulti, delle difficoltà, delle persecuzioni e delle angosce che io sopporto a causa di Cristo, perché quando sono debole, allora sono veramente forte”. 2 Corinzi 12:9, 10. PR 92.7
Elia era forse stato abbandonato da Dio nell’ora della prova? No! Dio amava il suo servitore, ora che si sentiva abbandonato da lui e dagli uomini, così come lo aveva amato quando aveva risposto alla sua preghiera, mandando il fuoco dal cielo che aveva incendiato la cima del Carmelo. PR 93.1
Mentre dormiva, Elia fu svegliato da un tocco delicato e da una voce suadente. Tremante di paura, stava per scappare perché pensava di essere stato scoperto dal nemico, ma il volto chino su di lui non era quello di un nemico ma di un amico. Dio aveva mandato del cibo per il profeta tramite un angelo del cielo che gli disse: “Alzati e mangia”. Elia “subito notò accanto alla sua testa una focaccia, di quelle cotte su pietre arroventate, e una brocca d’acqua. Dopo avere mangiato e bevuto, si mise di nuovo a dormire. L’angelo del Signore lo svegliò una seconda volta: “Mangia ancora — gli disse — perché il cammino sarà molto lungo per te”. 1 Re 19:5-7. PR 93.2
Egli si alzò, mangiò e bevve e rinvigorito dal cibo, camminò quaranta giorni e quaranta notti fino a Oreb, il monte di Dio, dove trovò rifugio in una caverna. PR 93.3