Profeti e re
Capitolo 39: Alla corte di Babilonia
Tra i figliuoli d’Israele deportati a Babilonia all’inizio dei settant’anni di cattività vi erano credenti fedeli alla loro nazione, uomini saldamente radicati ai princìpi, uomini capaci di resistere all’egoismo di onorare Dio a qualsiasi costo. Desideravano soltanto contribuire alla realizzazione del suo piano offrendo alle nazioni pagane le benedizioni derivanti dalla conoscenza dell’Eterno. Essi dovevano essere i suoi rappresentanti, senza compromettersi con l’idolatria, ma conservando intatta la loro fede e il loro nome in quanto adoratori del Dio vivente. Essi avrebbero glorificato Dio nell’avversità così come lo avevano fatto nella prosperità. PR 241.1
Il fatto che questi uomini, fedeli all’Eterno, fossero esuli in Babilonia e i vasi sacri della casa di Dio fossero stati collocati nel tempio degli dei babilonesi solleticò l’orgoglio dei vincitori e li convinse che la loro religione e le loro tradizioni fossero superiori a quelle degli ebrei. PR 241.2
Tuttavia, proprio tramite le umiliazioni imposte a Israele, a causa della sua infedeltà, l’Eterno diede a Babilonia la prova evidente della sua supremazia, della santità delle sue esigenze e dei sicuri risultati dell’ubbidienza. Ma questa testimonianza poteva essere trasmessa solo da coloro che gli erano rimasti fedeli. PR 241.3
Fra questi vi erano Daniele e i suoi tre compagni: esempi straordinari di ciò che possono diventare gli uomini che vivono in comunione con un Dio saggio e potente. Dalla relativa semplicità delle loro famiglie ebraiche questi giovani di stirpe reale furono trapiantati nella più opulenta delle città e nella corte del più grande monarca del mondo. Nabucodonosor “...ordinò poi ad Asfenaz, capo dei funzionari di corte, di scegliere tra gli Israeliti alcuni giovani della famiglia reale o nobili. Dovevano essere senza difetti fisici, di bella presenza e robusti; dovevano essere pieni di saggezza, intelligenza e prudenza per poter entrare al servizio del re...”. Daniele 1:3-5. PR 241.4
“Fra gli scelti c’erano quattro giovani della tribù di Giuda: Daniele, Anania, Misaele e Azaria”. Daniele 1:6. Scoprendo in questi giovani i segni di una rara intelligenza, Nabucodonosor decise che venissero preparati per occupare importanti posizioni nel regno. Per qualificarli maggiormente per questi compiti fece in modo che imparassero la lingua dei caldei e per tre anni furono loro concessi vantaggi eccezionali riservati ai prìncipi. PR 241.5
I nomi di Daniele e dei suoi compagni furono cambiati con altri che evocavano divinità caldee. I genitori ebrei attribuivano grande significato ai nomi che davano ai figli. Spesso i nomi indicavano quelle doti di carattere che desideravano si sviluppassero nel bambino. Fu il principe, cui erano stati affidati i giovani deportati che cambiò loro il nome: Daniele fu chiamato Baltazzar, Anania Sadrach, Misaele Mesach e Azaria Abdenego. PR 242.1
Il re non costrinse i giovani ebrei a rinunciare alla loro fede religiosa in favore dell’idolatria, ma sperava di pervenirvi gradualmente. Dando loro nomi che avevano un preciso significato pagano, mettendoli in contatto quotidianamente con le abitudini tipiche dell’idolatria e influenzandoli con i seducenti riti del culto pagano sperava di riuscire a indurli a rinunciare alla religione della loro nazione per accettare quella dei babilonesi. PR 242.2
Fin dall’inizio della loro vita a corte, i quattro ragazzi dovettero affrontare una dura prova: dovevano nutrirsi del cibo e del vino provenienti dalla tavola del re. Il sovrano pensava di dimostrare in questo modo quanto ci tenesse al loro benessere fisico. Però, siccome una porzione del cibo della mensa reale veniva offerta agli idoli, accettarla sarebbe stato considerato un omaggio tributato agli dei di Babilonia. Daniele e i suoi compagni rifiutarono di condividere tale offerta. Il semplice fatto di consumare quel cibo e di bere quel vino avrebbe significato rinnegare la loro fede. Se lo avessero fatto si sarebbero schierati dalla parte del paganesimo e avrebbero disonorato i princìpi della legge di Dio. PR 242.3
Essi non vollero rischiare di assuefarsi agli effetti eccitanti che il lusso e i piaceri avrebbero prodotto sullo sviluppo fisico, mentale e spirituale: conoscevano bene la vicenda di Nadab e Abihu e anche i risultati della loro intemperanza ricordati nel libro del Pentateuco. Sapevano che l’uso del vino avrebbe gravemente danneggiato le loro facoltà fisiche e mentali. PR 242.4
Daniele e i suoi compagni erano stati abituati dai loro genitori a una vita di stretta temperanza. Era stato insegnato loro che Dio li avrebbe ritenuti responsabili delle loro capacità per cui non dovevano mai frenarne lo sviluppo o indebolirle. Questa educazione avrebbe preservato Daniele e i suoi compagni dagli influssi negativi della corte di Babilonia. Erano circondati da forti tentazioni, ma resistettero fedelmente. Nessuna potenza, nessun influsso avrebbero potuto intaccare i princìpi che erano stati inculcati loro fin dall’infanzia, grazie allo studio della Parola di Dio e delle sue opere. PR 242.5
Se Daniele lo avesse desiderato avrebbe potuto trovare nell’ambiente che lo circondava una scusa valida per rinunciare alle sue abitudini di temperanza. Avrebbe potuto sostenere che, essendo alle dipendenze del re, non poteva evitare di mangiare i suoi cibi e bere il suo vino; infatti adeguandosi agli insegnamenti divini avrebbe offeso il monarca, rischiando di perdere il suo incarico e forse la sua stessa vita. Se si fosse allontanato dai comandamenti di Dio avrebbe ottenuto l’approvazione del re e si sarebbe assicurato vantaggi intellettuali e un brillante avvenire. PR 243.1
Ma Daniele non esitò. Teneva più all’approvazione di Dio che a quella del più potente monarca, gli era più cara della sua stessa vita. Perciò decise di restare fedele a qualsiasi costo. Egli “...decise in cuor suo di non diventare impuro mangiando lo stesso cibo e bevendo lo stesso vino della tavola del re” (Daniele 1:8) e i suoi tre compagni condivisero la sua scelta. PR 243.2
Prendendo questa decisione i giovani ebrei non agirono con presunzione ma con piena fiducia in Dio. Essi non scelsero semplicemente di distinguersi: non vollero disonorare Dio. Se fossero scesi a compromesso con il male, cedendo alle pressioni esercitate dalle circostanze, l’abbandono dei loro princìpi avrebbe indebolito la loro percezione del bene e la loro avversione per il male. Il primo passo falso ne avrebbe generati altri fino al punto di interrompere il loro rapporto con Dio lasciandosi trascinare dalla tentazione. PR 243.3
“Dio concesse a Daniele la simpatia e la benevolenza del capo dei funzionari” per cui la sua richiesta di non contaminarsi fu accolta con rispetto, però il capo esitava a soddisfarla: “Il re in persona ha stabilito quel che dovete mangiare e bere. Ho paura che vi trovi più magri degli altri giovani della vostra età, e così io rischio la vita a causa vostra”. Daniele 1:9, 10. PR 243.4
All’ufficiale a cui era stata affidata la cura dei giovani ebrei Daniele disse: “Ti prego, mettici alla prova per dieci giorni: dacci da mangiare soltanto legumi e da bere soltanto acqua. Alla fine confronterai il nostro aspetto con quello dei giovani che mangiano lo stesso cibo del re. Allora deciderai di conseguenza verso di noi”. Daniele 1:12, 13. PR 243.5
Daniele si rivolse all’ufficiale incaricato della sorveglianza dei giovani ebrei per chiedergli di volerli dispensare dal cibo e dalle bevande del re. Egli propose di sottoporli a questa prova per dieci giorni: essi si sarebbero accontentati di un cibo frugale mentre gli altri giovani avrebbero mangiato i cibi del re. PR 243.6
Pur temendo di incorrere nella disapprovazione del re aderendo a questa richiesta, acconsentì e Daniele capì di aver ben perorato la sua causa. Dopo dieci giorni i risultati smentirono i timori espressi dal principe. “Alla fine si rese conto che il loro aspetto era più bello e più florido di quello degli altri giovani che avevano mangiato lo stesso cibo del re”. Daniele 1:15. I giovani ebrei mostrarono una netta superiorità nei confronti dei loro compagni. Daniele e i suoi amici poterono quindi continuare a praticare il loro regime alimentare per tutto il periodo della loro preparazione. PR 243.7
Per tre anni studiarono per acquisire la conoscenza dei caldei e imparare la loro lingua; in questo periodo rimasero sempre fedeli a Dio e confidarono costantentemente nella sua potenza. Oltre all’abnegazione dimostrarono serietà, impegno e fermezza. Non erano stati né l’ambizione né l’orgoglio che li avevano condotti alla corte del re a contatto con uomini che non conoscevano e non rispettavano Dio. Schiavi in una terra straniera erano stati collocati in quella posizione dall’infinita saggezza di Dio. Lontani dai loro influssi familiari e dai loro legami religiosi, cercavano di adempiere il loro dovere onorando così la propria nazione oppressa e glorificando il nome di colui che servivano. PR 244.1
Il Signore approvò la fermezza e l’abnegazione dei giovani ebrei come anche la purezza delle loro motivazioni, e li benedisse. Diede loro “...capacità di discernimento, ampia conoscenza nel sapere e saggezza. Daniele era inoltre capace di interpretare sogni e visioni”. Daniele 1:17. Si adempiva così la promessa di Dio: “Io onoro chi mi onora”. 1 Samuele 2:30. PR 244.2
Poiché Daniele era intimamente legato al Signore ricevette il dono di profezia. Mentre riceveva le istruzioni relative ai doveri da assolvere alla corte del re, Dio lo iniziava alla conoscenza dei misteri riguardanti il futuro. Egli avrebbe trasmesso alle future generazioni, tramite simboli e parallelismi, i messaggi relativi agli avvenimenti che si sarebbero svolti nel corso della storia di questo mondo, fino alla fine dei tempi. PR 244.3
A un certe punto i giovani studenti ebrei dovettero subire un esame, insieme ad altri candidati destinati a importanti incarichi nel regno, ma “...neppure uno si dimostrò competente come Daniele, Anania, Misaele e Azaria”. Daniele 1:19. La loro acuta intelligenza, le loro ampie conoscenze, il loro linguaggio raffinato e preciso testimoniarono dell’impareggiabile vigore delle loro facoltà mentali. “Se il re li interrogava su qualunque argomento che richiedeva saggezza e intelligenza li trovava capaci di dare risposte dieci volte migliori di quelle di tutti gli indovini e maghi del suo regno”. Daniele 1:20. Furono ammessi quindi al servizio del re. PR 244.4
Alla corte di Babilonia vi erano rappresentanti di tutti i popoli, uomini dotati di grandi talenti e con la più vasta cultura che il mondo potesse offrire; eppure, fra tutti, i giovani ebrei risultavano impareggiabili per forza fisica, bellezza, vigore intellettuale e conoscenza. La loro figura eretta, l’andatura elastica e ferma, l’aspetto gradevole, la lucidità mentale, la salute che emanava da tutto il loro essere erano delle caratteristiche che costituivano l’attestazione con cui la natura gratifica coloro che hanno un comportamento corretto e si sottomettono alle sue leggi. PR 244.5
Nell’acquisizione della sapienza babilonese Daniele e i suoi compagni riuscirono molto meglio degli altri studenti, ma le loro conoscenze non erano frutto del caso: le ottennero col fedele uso delle loro facoltà intellettuali e sotto la guida dello Spirito Santo. Essi erano in contatto con la fonte di ogni sapienza e facevano della conoscenza di Dio la base della loro educazione. Essi pregavano con fede per acquisire la saggezza e vivevano in armonia con le loro preghiere. Essi ricercavano la costante benedizione di Dio, evitando tutto ciò che rischiava di indebolire le loro facoltà, cogliendo tutte le occasioni per svilupparle. Avevano un’unica preoccupazione: onorare il Signore. Sapevano che per rappresentare la vera religione, in seno al paganesimo, essi dovevano possedere un’intelligenza lucida e perfezionare il loro carattere. Dio stesso era il loro istruttore. Pregando costantemente, studiando in modo coscienzioso e stando in contatto con l’Invisibile, essi camminavano con Dio come aveva fatto Enoc. PR 245.1
Il vero successo in qualsiasi ambito di lavoro non è il risultato della fortuna o del destino. E il risultato delle benedizioni divine, la conseguenza della fede, della saggezza, della virtù e della perseveranza. Brillanti qualità intellettuali, un livello morale elevato non sono frutto del caso. Dio suscita le occasioni, il successo dipende dall’uso che se ne fa. PR 245.2
Mentre Dio attuava in Daniele e nei suoi compagni “il volere e l’operare per la sua benevolenza” (Filippesi 2:13, Luzzi), essi stavano lavorando per la loro salvezza. Così si manifesta l’opera del principio divino della collaborazione senza la quale nessun vero successo può essere conseguito. Senza la potenza divina i tentativi umani sono votati al fallimento e senza la partecipazione umana l’azione divina non ha alcun effetto su numerosi individui. Per poter acquisire la grazia divina dobbiamo fare la nostra parte. La sua grazia ci viene offerta per produrre in noi “il volere e l’operare”, ma non per sostituirsi al nostro impegno. PR 245.3
Come collaborò con Daniele e i suoi compagni, il Signore collaborerà con tutti coloro che si sforzano di agire secondo la sua volontà. Mediante il dono del suo Spirito, Dio potenzierà ogni sincero proposito, ogni nobile intenzione. Coloro che desiderano ubbidire fedelmente incontreranno numerosi ostacoli. Influssi sottili e tenaci potranno trascinarli verso forti tentazioni, ma Dio è in grado di neutralizzare tutti gli espedienti messi in atto per mettere in difficoltà i suoi figli. Tramite la sua forza supereranno tutte le tentazioni e tutte le difficoltà. PR 245.4
Egli mise Daniele e i suoi compagni in contatto con gli uomini più importanti di Babilonia affinché in una nazione pagana essi potessero rappresentare il carattere divino. Come riuscirono a occupare una posizione di così grande responsabilità e di così grande importanza? La loro vita era caratterizzata dalla fedeltà nelle piccole cose. Essi onorarono Dio negli incarichi più modesti come anche nelle responsabilità importanti. PR 246.1
Così come Dio chiamò Daniele a testimoniare per lui in Babilonia, oggi chiama anche noi a essere i suoi testimoni nella nostra società. Egli desidera che riveliamo agli uomini i princìpi del suo regno nelle piccole e nelle grandi attività della vita. Molti aspettano che venga assegnato loro qualche incarico importante e perdono ogni giorno preziose occasioni per testimoniare a Dio la loro fedeltà. Essi trascurano costantemente i piccoli doveri della vita quotidiana aspettando di esercitare i loro possibili talenti in un’attività più importante, che soddisfi i loro desideri ambiziosi, mentre il tempo passa. PR 246.2
Nella vita del vero cristiano non c’è nulla di secondario; agli occhi dell’Onnipotente ogni incarico è importante. Il Signore valuta con precisione ogni capacità messa al suo servizio. Egli prende in considerazione anche tutte le possibilità non utilizzate. Saremo giudicati secondo le azioni che non abbiamo compiuto perché non abbiamo impiegato i nostri talenti alla gloria di Dio. PR 246.3
Un carattere nobile non è il risultato del caso, non è frutto di doni o speciali benedizioni divine. È il risultato dell’autodisciplina e della sottomissione degli istinti a sentimenti più nobili, della resa dell’io per servire il Signore e il prossimo. Mediante la fedeltà ai princìpi della temperanza, manifestata dai giovani ebrei, Dio parla ancora ai giovani di oggi. C’è bisogno di uomini che, come Daniele, sappiano agire e osare in favore della giustizia; c’è bisogno di cuori puri, mani forti, grande coraggio nella lotta tra vizio e virtù che richiede una vigilanza costante. Quando ci abbandoniamo ai nostri istinti Satana ci assale con numerose e sottili tentazioni. PR 246.4
Il corpo è il mezzo più importante tramite il quale mente e spirito si sviluppano nella formazione del carattere. Ecco perché l’avversario degli uomini orienta le sue tentazioni mirando a indebolire e degradare le facoltà fisiche. Il suo successo significa spesso la resa al male dell’intero essere. Le tendenze naturali, non controllate da una forza superiore, conducono l’uomo alla degenerazione e alla morte. Perciò il corpo deve essere sottoposto a una potenza superiore e le passioni controllate dalla volontà che, a sua volta, deve essere posta sotto il controllo di Dio. Il potere supremo della ragione, santificato dalla grazia divina, deve avere il dominio dell’intera vita. Le forze intellettuali, il vigore fisico, la lunghezza della vita, dipendono da leggi immutabili. Grazie al rispetto di queste leggi l’uomo può raggiungere l’autocontrollo, dominare le sue tendenze, lottare contro gli “...spiriti maligni del mondo invisibile, contro autorità e potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso” (Efesini 6:12) e riportare la vittoria. PR 246.5
Nell’antico rituale israelitico, che è il Vangelo in simboli, nessuna offerta imperfetta poteva essere deposta sull’altare di Dio. La vittima, che rappresentava Cristo, doveva essere senza difetto. La Parola di Dio si serve di questa illustrazione per mostrare che i figli di Dio sono un “...sacrificio vivente, a lui dedicato, a lui gradito...”. Romani 12:1. PR 247.1
I giovani ebrei erano uomini sottoposti alle nostre stesse passioni ma nonostante gli influssi seduttori della corte babilonese seppero rimanere saldi perché dipendevano da una potenza che è infinita. Per i pagani essi rappresentavano la bontà e la misericordia di Dio e anche l’amore di Cristo. La loro vita rappresenta per noi l’esempio del trionfo dei princìpi sulla tentazione, della purezza sulla depravazione, della fede e della fedeltà sull’ateismo e l’idolatria. PR 247.2
I giovani oggi possono avere lo stesso spirito che animava Daniele; essi possono attingere alla stessa fonte per ottenere la stessa forza, possedere lo stesso autocontrollo e rivelare nella loro vita la stessa grazia anche nelle circostanze più sfavorevoli. Nonostante la tentazione di soddisfare i propri desideri, specialmente nelle grandi città dove la sensualità si presenta sotto le forme più allettanti, essi devono perseguire il loro obiettivo di onorare Dio. Grazie alla loro fermezza e a una vigilanza costante essi possono resistere a tutte le tentazioni che li assalgono. Solo chi ha deciso di agire correttamente conseguirà la vittoria. PR 247.3
A questi giovani ebrei fu affidato un nobile incarico! Lasciando la famiglia in cui avevano trascorso la loro infanzia non potevano immaginare quale destino li attendeva. Essi accettarono con fedeltà e convinzione le direttive divine affinché grazie a loro si adempisse il piano di Dio. PR 247.4
Il Signore desidera che anche oggi i giovani trasmettano le stesse verità rivelate da questi ragazzi. La vita di Daniele e dei suoi amici è la dimostrazione di ciò che Dio può fare per coloro che si affidano a lui e cercano con tutto il loro cuore di realizzare i suoi progetti. PR 247.5