Il gran conflitto

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Capitolo 6: Jan Hus e Gerolamo da Praga

Il messaggio del Vangelo era stato diffuso in Boemia già nel IX secolo. La Bibbia era stata tradotta e il culto veniva celebrato nella lingua del popolo. Però, nella misura in cui l’autorità papale cresceva eclissava la Parola di Dio. Gregorio VII, che si era proposto di umiliare l’orgoglio dei re e rendere schiavo il popolo, promulgò una bolla che vietava il culto pubblico in lingua boema. Affermava che “era piaciuto all’Onnipotente decretare che il culto gli fosse reso in lingua sconosciuta, perché non pochi mali e non poche eresie erano derivati dall’avere trascurato tale regola”.1 Roma, decretò che la luce della Parola di Dio venisse spenta e il popolo restasse immerso nelle tenebre. Dio comunque aveva provveduto a salvaguardare la chiesa. Molti valdesi e albigesi, fuggiti dalla Francia e dall’Italia, a causa della persecuzione, si rifugiarono in Boemia. Sebbene non avessero il coraggio di predicare apertamente in questo paese, agirono segretamente con molto zelo. Fu così che la vera fede venne tramandata da una generazione all’altra. GC 82.1

Prima di Hus, vi erano stati in Boemia uomini che avevano apertamente condannato la corruzione della chiesa e del popolo. Il loro intervento aveva suscitato un vasto e profondo interesse. Il clero, allarmato, scatenò una persecuzione contro quanti si professavano discepoli del Vangelo. Costretti a riunirsi nei boschi e sui monti, inseguiti dai soldati, molti furono uccisi. Ben presto venne decretato che chiunque si fosse distaccato dalla chiesa di Roma sarebbe stato condannato al rogo. I cristiani, morendo, erano convinti che un giorno la loro causa avrebbe trionfato. Uno di coloro che avevano insegnato che la salvezza si ottiene solo mediante la fede nel Salvatore crocifisso, disse in punto di morte: “L’ira dei nemici della verità ora ha il sopravvento, ma non sarà sempre così. Sorgerà fra il popolo qualcuno, senza spada e senza autorità, contro il quale tutte le armi si spunteranno”.2 L’epoca di Lutero era ancora lontana, ma si sarebbe fatta sentire una voce la cui testimonianza contro Roma avrebbe scosso le nazioni. GC 82.2

Jan Hus era di umili origini e rimase orfano di padre molto presto. Sua madre, donna pia che considerava l’educazione e il rispetto di Dio più importanti dei beni terreni, si sforzò di trasmettere questi princìpi al figlio. Hus studiò prima nella scuola provinciale, poi fu ammesso per pura carità all’università di Praga. La madre lo accompagnò fino alla sua nuova residenza. Giunta vicino alla grande città, non potendo dare altra eredità al figlio, si inginocchiò davanti a lui e invocò sull’orfanello la benedizione del Padre celeste. Senza immaginare in che modo la sua preghiera sarebbe stata esaudita. GC 82.3

All’università, Hus si distinse per il suo instancabile impegno e i suoi rapidi progressi; la sua vita integra e la sua gentilezza, gli valsero la stima di tutti. Egli era un fedele discepolo della chiesa di Roma e ricercava sinceramente le benedizioni spirituali che essa elargiva. Durante un giubileo, Hus andò a confessarsi e dopo aver offerto gli ultimi spiccioli delle sue magre risorse, si unì alla processione per ottenere l’assoluzione promessa. Ultimati gli studi, entrò nel sacerdozio e non tardò ad affermarsi, tanto che fu ammesso alla corte del re. Diventato professore, fu successivamente nominato rettore di quella stessa università in cui si era laureato. Il povero studente di un tempo finì per diventare il vanto della nazione, mentre il suo nome era noto in tutta Europa. GC 83.1

Hus cominciò l’opera della Riforma in un altro campo. Alcuni anni dopo aver preso i voti fu nominato pastore della cappella di Betlemme. Il suo fondatore sosteneva, considerandola della massima importanza, la necessità di predicare la Sacra Scrittura nella lingua del popolo. Nonostante l’opposizione di Roma, in Boemia tale consuetudine non era stata del tutto abbandonata. Purtroppo, però, molti ignoravano la Bibbia e fra la gente di ogni ceto imperversavano i vizi peggiori. Hus denunciò senza esitazione questi errori e fece appello alla Parola di Dio per inculcare i princìpi della verità e della purezza da lui sostenuti. GC 83.2

Un cittadino di Praga, Gerolamo, che più tardi diventò intimo collaboratore di Hus, reduce dall’Inghilterra, aveva portato con sé gli scritti di Wycliffe. La regina d’Inghilterra, convertitasi agli insegnamenti del riformatore britannico, era una principessa boema. Fu anche grazie al suo appoggio che le opere di Wycliffe si diffusero nella sua terra natia. Hus esaminò quelle opere con vivo interesse e si convinse che il suo autore era un cristiano sincero. Finì per considerare favorevolmente la riforma che Wycliffe sosteneva. Senza rendersene conto, Hus stava già percorrendo il sentiero che lo avrebbe condotto molto lontano da Roma. GC 83.3

A quell’epoca giunsero a Praga, provenienti dall’Inghilterra, due stranieri. Erano uomini colti, che avendo ricevuto il messaggio della verità erano venuti a diffonderlo in quella terra lontana. Cominciarono con un aperto attacco alla supremazia papale, ma le autorità li costrinsero a tacere. Siccome, però, non erano disposti a rinunciare al loro proposito, ricorsero a un altro espediente. Oltre che predicatori erano pittori, perciò sfruttarono le loro capacità artistiche. In un luogo aperto al pubblico, dipinsero due quadri. Uno rappresentava l’ingresso di Gesù in Gerusalemme: “...mansueto, e montato sopra un asino...” (Matteo 21:5, Diodati), seguito dai discepoli scalzi, in abiti dimessi. L’altro, invece, raffigurava una processione pontificia: il papa indossava ricche vesti, cingeva il triregno e cavalcava un cavallo magnificamente bardato. Lo precedevano dei trombettieri ed era seguito da alti prelati in abiti sontuosi. GC 83.4

Quella decorazione murale predicava un sermone che attirava l’attenzione di tutti. La folla si accalcava per contemplare quelle opere e nessuno poteva fare a meno di capire l’insegnamento che ne scaturiva. Molti rimasero colpiti dal contrasto fra la mansuetudine e l’umiltà del Cristo, il Maestro, e l’orgoglio e l’arroganza del papa che si definiva suo servitore. Tutta Praga era rimasta profondamente scossa e i due stranieri, dopo poco tempo, ritennero opportuno andarsene per salvaguardare la loro vita, ma l’insegnamento trasmesso non fu dimenticato. I loro quadri provocarono una profonda impressione nella mente di Hus e lo spinsero a uno studio più approfondito della Bibbia e degli scritti di Wycliffe. Sebbene egli non fosse ancora pronto per accettare tutte le riforme auspicate da Wycliffe, si rendeva conto, sempre più chiaramente, della natura del papato e, con grande zelo, iniziò a denunciare l’orgoglio, l’ambizione e la corruzione della gerarchia romana. GC 84.1

Dalla Boemia il messaggio si diffuse in Germania in seguito a contrasti sorti nell’università di Praga, che avevano indotto alcune centinaia di studenti tedeschi ad andarsene. Molti di loro avevano ricevuto da Hus la conoscenza della Bibbia e così, rientrati in patria, vi diffusero il messaggio del Vangelo. GC 84.2

Roma venne a sapere ciò che stava accadendo e Hus fu invitato a presentarsi al papa. Ubbidire significava esporsi a morte sicura. Il re e la regina di Boemia, l’università, i membri della nobiltà, le personalità del governo si unirono per inviare al pontefice una petizione con la quale chiedevano che Hus fosse autorizzato a rimanere a Praga e a farsi rappresentare a Roma da un delegato. Il papa, invece di aderire alla richiesta, giudicò e condannò Hus, sottoponendo all’interdetto la città di Praga. GC 84.3

In quei tempi, una sentenza simile creava ovunque un vivo allarme. Le cerimonie che l’accompagnavano erano di natura tale da terrorizzare la gente, che considerava il pontefice come il rappresentante di Dio, detentore delle chiavi del cielo e dell’inferno, dotato della facoltà di decretare castighi temporali e spirituali. Si pensava che le porte del cielo sarebbero rimaste chiuse per le zone colpite dall’interdetto e che, finché non fosse piaciuto al papa revocarlo, i morti sarebbero stati esclusi dalla dimora dei beati. Per dimostrare quanto grave fosse questa calamità, tutte le funzioni religiose furono sospese, i luoghi di culto chiusi, i matrimoni celebrati nel cortile antistante la chiesa, i morti — a causa del divieto di seppellirli in terra consacrata — venivano sepolti senza alcun rito funebre nei campi o nei fossati. Così, ricorrendo a misure che colpivano l’immaginazione popolare, Roma esercitava il proprio dominio sulle coscienze degli uomini. GC 84.4

Praga era sconvolta. Una parte della popolazione accusava Hus di essere la causa di tutte quelle disgrazie e chiedeva che fosse consegnato alle autorità religiose di Roma. Per placare la tempesta, il riformatore si ritirò per un po’ di tempo nel suo villaggio natio. Scrivendo agli amici rimasti nella capitale diceva: “Se mi sono allontanato da voi, è stato per attenermi agli insegnamenti e all’esempio di Gesù Cristo, temendo di rappresentare un’occasione di condanna eterna per i malvagi e fonte di afflizione e di persecuzione per i giusti. Mi sono ritirato anche per paura che dei sacerdoti empi continuino a ostacolare, fra voi, la predicazione della Parola di Dio. Non vi ho lasciati per rinnegare la verità divina per la quale io sono pronto, con l’aiuto di Dio, a dare la vita”.3 Hus non interruppe la sua attività, anzi percorse il paese circostante, continuando a predicare a folle assetate di conoscenza. Accadde così che le misure a cui era ricorso il papa per sopprimere il Vangelo, finirono per contribuire a una sua maggiore diffusione. “Perché noi non possiamo nulla contro la verità; quel che possiamo è per la verità”. 2 Corinzi 13:8. GC 85.1

“In quell’epoca Hus, era in preda a un profondo conflitto. Nonostante la chiesa cercasse di sopraffarlo con le sue minacce, egli non ne aveva rigettata l’autorità. Per lui, la chiesa di Roma continuava a essere la chiesa del Cristo e il papa il rappresentante e il vicario di Dio. Hus lottava contro l’abuso di autorità e non contro il principio stesso. Fu questo a determinare una tremenda lotta fra le sue convinzioni e la voce della sua coscienza. Se l’autorità papale era legittima e infallibile, come egli riteneva, come mai si sentiva spinto a resisterle? D’altra parte, si rendeva conto che ubbidire significava peccare. Perché, si chiedeva, l’ubbidienza a una chiesa infallibile doveva condurre a questa conclusione? Era questo il dilemma che Hus non riusciva a sciogliere; era questo il dubbio che lo torturava continuamente. La soluzione più approssimativa a cui egli poteva giungere era, come del resto era già accaduto ai tempi del Salvatore, che i sacerdoti della chiesa erano corrotti e si servivano di un potere legittimo per fini illegali. Ciò lo indusse ad adottare come guida, e a proporla agli altri, la massima secondo la quale i precetti della Scrittura, recepiti tramite la ragione, devono guidare la nostra coscienza. In altri termini l’unica guida infallibile è Dio che parla nella Bibbia e non la chiesa che parla tramite il sacerdote”.4 Quando, dopo un po’ di tempo, la calma fu ristabilita a Praga, Hus ritornò alla sua cappella di Betlemme per riprendere con maggior zelo e coraggio la predicazione della Parola di Dio. I nemici erano potenti e attivi, ma la regina e molti nobili erano suoi amici e la maggior parte della popolazione era con lui. Confrontando i suoi insegnamenti puri ed elevati e la sua vita santa con i dogmi degradanti predicati dai discepoli di Roma, con la loro avarizia e depravazione, molti si sentirono onorati di schierarsi con lui. GC 85.2

Fino ad allora Hus aveva condotto da solo l’opera di riforma ma ora Gerolamo da Praga, che durante il suo soggiorno in Inghilterra aveva accettato gli insegnamenti di Wycliffe, diventò suo collaboratore. I due, uniti nella vita, non furono separati nella morte. Genio brillante, eloquenza, cultura — doti queste che attiravano il favore popolare — erano le qualità che Gerolamo possedeva in notevole misura, mentre per quel che riguardava la forza del carattere Hus gli era superiore. La sua profonda capacità di riflettere frenava lo spirito impulsivo di Gerolamo che, però, con sincera umiltà si rendeva conto del valore di Hus e ben volentieri si sottometteva ai suoi consigli. Grazie all’attività congiunta di questi due uomini il messaggio della Riforma si estese rapidamente. GC 86.1

Dio illuminò la mente di questi uomini eletti, rivelando loro molti errori della chiesa di Roma. Essi, però, non ricevettero il messaggio completo che doveva essere presentato al mondo. Dio si servì di loro per liberare gli uomini dalle tenebre. Molti erano gli ostacoli che dovevano affrontare e il Signore li guidò gradualmente tenendo conto dei numerosi e seri problemi che avrebbero dovuto affrontare. Non essendo pronti a contemplare la verità in tutto il suo splendore se ne sarebbero allontanati, abbagliati come una persona che passa dall’oscurità al sole di mezzogiorno. Per questo Dio la rivelò a poco a poco, affinché potesse essere assimilata dagli uomini. Secolo dopo secolo, poi, altri fedeli messaggeri avrebbero guidato gli uomini sempre più avanti lungo il cammino della Riforma. GC 86.2

Perdurava intanto lo scisma nella chiesa: tre papi si contendevano il primato e la lotta provocava tumulti e crimini. Non contenti di scagliarsi reciprocamente degli anatemi, ricorsero alle armi. Ognuno di essi riteneva fosse proprio dovere procurarsi armamenti e soldati. Naturalmente, tutto ciò comportava spese non indifferenti e quindi, nell’intento di raccogliere il denaro necessario, furono posti in vendita incarichi, benefici e benedizioni da parte della chiesa. Anche i sacerdoti, imitando i superiori, praticarono la simonia per umiliare i rivali e per rafforzare il proprio potere. Con coraggio crescente Hus si scagliò contro le malvagità che venivano commesse e tollerate in nome della religione e la gente, a sua volta, accusò apertamente i capi della chiesa delle miserie che opprimevano il mondo cristiano. GC 86.3

Praga era nuovamente minacciata da un sanguinoso conflitto. Come ai tempi d’Israele, il servitore di Dio fu accusato: “...Sei tu colui che mette sossopra Israele”. 1 Re 18:17. La città fu nuovamente colpita dall’interdetto e Hus, ancora una volta, fu costretto a ritirarsi nel suo villaggio natio. Aveva finito di presentare fedelmente la sua testimonianza nella cappella di Betlemme, ma prima di donare la propria vita come testimone della verità, egli sarebbe stato chiamato a predicare al mondo intero da un pulpito più elevato. GC 87.1

Per risanare i mali che travagliavano l’Europa l’imperatore Sigismondo chiese a uno dei tre papi rivali, Giovanni XXIII, di convocare un concilio generale a Costanza. Questo papa non vedeva di buon occhio la convocazione del concilio, poiché la sua vita intima e la sua politica non erano tali da poter reggere a un’inchiesta, anche se condotta da prelati la cui moralità, come spesso accadeva a quei tempi, lasciava molto a desiderare. Tuttavia non osò opporsi alla volontà di Sigismondo.5 GC 87.2

I principali obiettivi che il concilio si prefiggeva erano: porre fine allo scisma nella chiesa ed estirpare l’eresia. I due antipapi furono invitati a presentarsi davanti al concilio e analogo invito fu rivolto a Jan Hus nella sua qualità di principale esponente delle nuove opinioni. I primi, per salvaguardare la propria incolumità, non intervennero e si fecero rappresentare dai loro delegati. Papa Giovanni, pur risultando apparentemente come colui che aveva convocato il concilio, vi intervenne con molta apprensione, temendo che l’imperatore accarezzasse il segreto proposito di deporlo e di essere chiamato a rispondere dei vizi che avevano disonorato la tiara e dei crimini che gliel’avevano assicurata. Egli comunque entrò a Costanza con gran pompa, seguito da una schiera di cortigiani e accompagnato da ecclesiastici di alto rango. Tutto il clero e tutti i dignitari della città, seguiti da una folla immensa, gli andarono incontro a porgergli il benvenuto. Sul suo capo c’era un baldacchino dorato, portato da quattro fra i principali magistrati. Lo precedeva l’ostia. I sontuosi abiti di cardinali e nobili aggiungevano particolare lustro al corteo. GC 87.3

Frattanto un altro viaggiatore si avvicinava a Costanza. Hus, consapevole dei pericoli che lo minacciavano, si congedò dagli amici come se non dovesse più rivederli. Si mise in viaggio, convinto di dirigersi al rogo. Nonostante avesse ottenuto il salvacondotto dal re di Boemia e ne avesse ricevuto un secondo, durante il viaggio, dall’imperatore Sigismondo, egli espresse le necessarie disposizioni in vista della sua morte. GC 88.1

In una lettera indirizzata ai suoi amici di Praga diceva: “Fratelli miei... io parto con un salvacondotto del re per affrontare i miei numerosi e mortali nemici... Confido comunque nel Dio onnipotente e nel mio Salvatore, certo che egli ascolterà le vostre fervide preghiere e metterà sulla mia bocca la sua prudenza e la sua saggezza in modo che io possa resistere. Egli mi accorderà il suo Spirito Santo per fortificarmi nella verità affinché io sappia affrontare coraggiosamente le tentazioni, il carcere e, se necessario, una morte crudele. Gesù Cristo soffrì per i suoi diletti, perché dovremmo quindi stupirci che egli ci abbia lasciato il suo esempio per sopportare con pazienza ogni cosa in vista della nostra salvezza? Egli è Dio e noi siamo le sue creature; egli è il Signore e noi siamo i suoi servitori; egli è il Sovrano del mondo e noi siamo poveri mortali. Eppure, egli ha sofferto. Perché quindi non dovremmo soffrire anche noi, soprattutto quando la sofferenza è per noi una purificazione? Diletti, se la mia morte deve contribuire alla sua gloria, pregate che essa venga presto e che Dio mi aiuti a sopportare con pazienza le mie sofferenze. Se invece è meglio che io ritorni fra voi preghiamo Dio che io riparta da questo concilio senza macchia, cioè che io non elimini neppure uno iota della verità del Vangelo e dia, in tal modo, un buon esempio. Però, se è volontà dell’Onnipotente che io vi sia restituito progrediamo con coraggio nella conoscenza e nell’amore della sua legge”.6 GC 88.2

In un’altra lettera, indirizzata a un ex sacerdote cattolico, diventato discepolo del Vangelo, Hus parlava con profonda umiltà dei propri errori e si scusava di avere “provato piacere nell’indossare ricchi abiti e di aver sprecato ore preziose in occupazioni frivole”. Poi aggiunge questa toccante esortazione: “Che la tua mente sia occupata dalla gloria di Dio e non dal desiderio di benefici e possedimenti. Guardati dall’adornare la tua casa più della tua anima e abbi la massima cura dell’edificio spirituale. Sii pio e umile con il povero, non sprecare le tue sostanze in occasione delle feste. Se non cambi e non ti astieni dalle cose superflue, temo sarai severamente punito come lo sono stato io... Tu conosci la mia dottrina, perché hai ricevuto i miei insegnamenti fin dalla tua fanciullezza. Perciò è inutile che io te ne scriva ancora. In ogni caso ti scongiuro, per la grazia del nostro Signore, di non imitarmi in nessuna delle vanità in cui tu puoi avermi visto cadere”. Sulla busta aggiunse: “Amico mio, ti scongiuro di non infrangere questo sigillo fino a che tu non abbia la certezza della mia morte”.7 Durante il viaggio Hus vide ovunque i segni della diffusione delle sue dottrine e del favore di cui godeva la sua opera. La gente si accalcava per vederlo e in alcune città i magistrati lo scortarono lungo la via. GC 88.3

Giunto a Costanza, Hus godette della piena libertà perché al salvacondotto dell’imperatore si era aggiunta una personale garanzia di protezione da parte del papa. Però, in un secondo tempo, in aperta violazione di queste solenni e ripetute dichiarazioni, il riformatore fu arrestato per ordine del papa e dei cardinali e gettato in una fetida prigione. In seguito, fu trasferito in una fortezza sul Reno e tenuto prigioniero. Il papa, però, non poté godere a lungo della propria perfidia perché finì egli stesso nel medesimo carcere.8 GC 89.1

Giudicato dal concilio, Giovanni XXIII fu dichiarato colpevole dei crimini più abbietti quali: omicidio, simonia, adulterio e “peccati innominabili”. Infine fu privato della tiara e imprigionato. Deposti anche gli antipapi, fu eletto un nuovo pontefice. GC 89.2

Sebbene lo stesso papa si fosse macchiato di crimini maggiori di quelli che Hus aveva rinfacciato ai sacerdoti e che lo avevano indotto a chiedere una riforma, il concilio che destituì il pontefice infierì contro il riformatore. La carcerazione di Hus suscitò viva indignazione in tutta la Boemia e nobili potenti rivolsero al concilio una vibrata protesta contro un simile oltraggio. L’imperatore non desiderava violare un salvacondotto e cercò di impedire che si procedesse contro il riformatore, ma i nemici di Hus erano influenti e decisi. Essi fecero appello ai pregiudizi dell’imperatore, ai suoi timori e al suo zelo per la chiesa. Ricorsero, inoltre, a elaborate argomentazioni per dimostrare che “non si è tenuti a mantenere le promesse fatte agli eretici o a persone sospette di eresia, anche se munite di salvacondotto dell’imperatore e dei re”.9 In tal modo essi raggiunsero il loro intento. GC 89.3

Indebolito dalla malattia e dal carcere — l’umidità della cella e l’aria malsana gli provocarono una febbre che per poco non lo condusse alla morte — Hus venne finalmente condotto al concilio. Incatenato, si trovò di fronte all’imperatore che, sul suo onore e in tutta sincerità, aveva preso l’impegno di proteggerlo. Durante il lungo processo, Hus difese la verità con fermezza e, davanti ai dignitari della chiesa e dello stato, pronunciò una solenne e vibrata protesta contro la corruzione della curia romana. Invitato a scegliere fra l’abiura e la morte non esitò a dichiararsi pronto per il martirio. GC 89.4

La grazia di Dio lo sostenne e durante le lunghe settimane che trascorsero prima del verdetto finale la pace divina inondò la sua anima. “Scrivo questa lettera” diceva a un amico “nel mio carcere, con le mani serrate nei ceppi, in attesa della sentenza di morte che sarà pronunciata domani... Quando, con l’aiuto di Gesù Cristo, ci incontreremo di nuovo nella pace beata della vita futura, saprai quanta misericordia Dio ha avuto per me e quanto egli mi abbia efficacemente aiutato e sostenuto fra prove e tentazioni”.10 Nell’oscurità del suo carcere, egli intravide il trionfo della vera fede. In sogno gli apparve la cappella di Praga, dove aveva predicato il Vangelo e vide il papa e i vescovi cancellare le immagini di Gesù dipinte sulle pareti. “Questa visione lo turbò. L’indomani vide, sempre in sogno, dei pittori restaurare quelle immagini e farne altre e rivolti alla folla che li circondava, esclamavano: “Ora i papi e i vescovi vengano pure: essi non riusciranno più a cancellare queste immagini”. Nel raccontare il sogno, il riformatore disse: “Sono certo che l’immagine del Messia non sarà mai cancellata. Essi volevano distruggerla, ma grazie all’opera di predicatori migliori di me, essa sarà nuovamente riprodotta nei cuori”.11 GC 90.1

Per l’ultima volta Hus fu condotto davanti al concilio. Era un’assemblea numerosa e brillante: l’imperatore, i prìncipi dell’impero, i deputati reali, i cardinali, i vescovi, i sacerdoti e una immensa folla che si era radunata per essere spettatrice degli eventi di quel giorno. Da ogni parte del mondo cristiano erano convenuti i testimoni di questo primo grande sacrificio della lunga lotta, mediante la quale sarebbe stata assicurata la libertà di coscienza. GC 90.2

Invitato a comunicare la sua decisione finale, Hus dichiarò il suo rifiuto ad abiurare. Quindi, fissando il suo sguardo penetrante sul sovrano, infedele alla sua parola d’onore, disse: “Ho deciso di mia spontanea volontà di presentarmi davanti a questo concilio sotto la pubblica protezione e sulla parola dell’imperatore qui presente”.12 Un vivo rossore si diffuse sul volto di Sigismondo, mentre gli sguardi di tutti si posavano su di lui. GC 90.3

Pronunciata la sentenza, iniziò la cerimonia della destituzione. I vescovi fecero indossare al prigioniero gli abiti sacerdotali. Egli, nel toccarli, disse: “Nostro Signore Gesù Cristo fu coperto di una veste bianca in segno di scherno, quando Erode lo fece condurre davanti a Pilato”.13 Esortato ancora una volta a ritrattare, egli si rivolse al popolo e dichiarò: “Come potrei alzare il capo verso il cielo? Come potrei guardare questa folla di persone alle quali ho predicato il puro Vangelo? No. Io considero la loro salvezza più importante di questo misero corpo condannato a morte”.14 I paramenti furono tolti uno dopo l’altro e ogni vescovo, nel compiere la propria parte del rito pronunciava una maledizione. Alla fine “gli posero in testa una specie di mitra di carta a forma di piramide, sulla quale erano dipinte orribili figure di demoni”. Sulla parte anteriore di essa si leggeva: “Eresiarca”. Hus disse: “Con gioia porterò questa corona infamante per amor tuo, Gesù, che cingesti per me una corona di spine”.15 Dopo che Hus venne così rivestito, “i prelati dissero: “Ora noi consegniamo la tua anima al diavolo”. Jan Hus alzando gli occhi al cielo, replicò: “E io rimetto il mio spirito nelle tue mani, Signor Gesù, perché tu mi hai redento”.16 GC 90.4

Consegnato alle autorità secolari, venne condotto sul luogo del supplizio. Un’immensa processione lo seguiva: centinaia di uomini armati, sacerdoti, vescovi in ricche vesti e gli abitanti di Costanza. Dopo essere stato legato al palo e quando tutto fu pronto per l’accensione del rogo, il martire fu invitato ancora una volta a salvarsi, rinunciando ai propri errori. “Quali errori dovrei abbandonare? Io non mi riconosco colpevole. Chiamo Dio a testimone che tutto quello che ho scritto e predicato è stato fatto per strappare gli uomini al peccato e alla perdizione. Perciò con gioia confermerò con il mio sangue la verità che ho scritta e predicata”17. Quando le fiamme sprizzarono crepitando intorno a lui egli cominciò a cantare: “Gesù, figliuol di Davide, abbi pietà di me!” e continuò il suo canto fino a quando la sua voce non fu soffocata per sempre. GC 91.1

Gli stessi nemici furono colpiti dal suo eroico comportamento. Un sostenitore del papa, descrivendo il martirio di Hus e di Gerolamo, che morì poco dopo, dichiarò: “Quando si avvicinò la loro ultima ora entrambi si comportarono con fermezza. Essi si prepararono per il fuoco come se fossero dovuti andare a un banchetto di nozze. Non emisero un lamento. Quando le fiamme salirono, essi si misero a cantare degli inni e la veemenza del fuoco a stento riuscì a sopraffare quel canto e a farlo tacere”.18 Dopo che il corpo di Hus fu totalmente consumato, le sue ceneri, con la terra sulla quale posavano, furono raccolte e gettate nel Reno che, a sua volta, le trasportò nel mare. I persecutori si illudevano di aver così sradicato la verità da lui predicata, mentre non sapevano che quelle ceneri sarebbero state un seme sparso nel mondo che, in regioni fino ad allora sconosciute, avrebbe portato frutti abbondanti in testimonianza della verità. La voce che aveva parlato al concilio di Costanza aveva risvegliato echi che si sarebbero fatti udire anche nei secoli successivi. Hus era morto, ma le verità per le quali egli aveva dato la vita non potevano morire. Il suo esempio di fede e la costanza che aveva dimostrato sarebbero stati fonte d’incoraggiamento per molti, per aiutarli a rimanere saldi anche davanti alla tortura e alla morte. La sua esecuzione aveva mostrato al mondo intero la perfida crudeltà di Roma. I nemici della verità, anche se non se ne erano resi conto, avevano rafforzato la causa che desideravano distruggere. GC 91.2

Intanto un altro rogo stava per accendersi a Costanza. Il sangue di un altro testimone doveva onorare la verità. Gerolamo, nel salutare Hus alla sua partenza per il concilio, lo aveva esortato a essere forte e coraggioso, dichiarando che qualora gli fosse capitato qualche contrattempo egli non avrebbe esitato a correre in suo aiuto. Venuto a sapere della carcerazione dell’amico, il fedele discepolo si preparò immediatamente a mantenere la promessa fatta. Senza salvacondotto, partì per Costanza, accompagnato solo da un amico. Giunto sul posto, si rese conto di essersi esposto a un serio pericolo, senza alcuna possibilità di poter liberare Hus. Egli, allora, lasciò la città, ma venne arrestato lungo la via del ritorno e ricondotto a Costanza incatenato, sotto la sorveglianza di un drappello di soldati. Quando egli apparve davanti al concilio, i suoi tentativi di rispondere alle accuse che gli venivano mosse furono soffocati dal grido: “Alle fiamme con lui! Alle fiamme!”19 Chiuso in carcere, fu incatenato in una posizione che gli causava acute sofferenze e nutrito con pane e acqua. Dopo alcuni mesi, la durezza di questo trattamento gli provocò una grave malattia. I suoi nemici, allora, per paura che potesse fuggire, lo trattarono con meno rigore, pur tenendolo ancora in carcere per un anno. GC 92.1

La morte di Hus non aveva prodotto gli effetti desiderati dai sostenitori del papa. La violazione del salvacondotto aveva provocato un’ondata di indignazione e il concilio, per ovviare alle difficoltà che potevano sorgere, anziché condannare Gerolamo al rogo, decise di costringerlo, se possibile, ad abiurare. Egli fu condotto davanti all’assemblea e invitato a scegliere fra l’abiura e il rogo. All’inizio della prigionia, la morte sarebbe stata per lui una liberazione in confronto alle orribili sofferenze che fu costretto ad affrontare; indebolito invece, dalla malattia, dalla durezza del carcere e dalla tortura morale dovuta alla forte tensione nervosa, separato dagli amici, addolorato per la morte di Hus, non ebbe la forza di resistere e accondiscese a sottomettersi alla volontà del concilio. Gerolamo affermò di accettare la fede cattolica e di ripudiare le dottrine di Wycliffe e di Hus, a eccezione delle “sante verità” da essi insegnate.20 GC 92.2

Con questo espediente, Gerolamo cercava di far tacere la voce della propria coscienza e di sottrarsi alla sorte che lo minacciava. Però, nella solitudine del carcere, egli si rese chiaramente conto di ciò che aveva fatto. Pensò al coraggio e alla fedeltà di Hus e vide tutta la bassezza della sua scelta di abiurare. Pensò al Maestro che aveva giurato di servire e che per amor suo aveva sofferto la morte della croce. Prima dell’abiura egli aveva trovato, in mezzo alle sofferenze, conforto nella certezza del favore divino; ora, il rimorso lo torturava. Sapeva che gli sarebbero state chieste altre ritrattazioni prima di poter essere in pace con Roma e capiva che la via nella quale si era incamminato poteva condurre solo all’apostasia totale. Allora decise che non avrebbe rinnegato il Signore per sottrarsi a un breve periodo di sofferenza. GC 92.3

Non passò molto tempo che Gerolamo fu nuovamente chiamato a presentarsi davanti al concilio. La sua sottomissione non aveva soddisfatto i giudici. La loro sete di sangue, alimentata dalla morte di Hus, chiedeva nuove vittime. Egli avrebbe potuto salvare la propria vita a prezzo di un totale rinnegamento della verità, ma aveva deciso di confessare la sua fede e di seguire nelle fiamme il fratello martire. GC 93.1

Gerolamo ritirò la sua precedente abiura e, come condannato a morte, chiese di potersi difendere. Temendo gli effetti delle sue parole, i prelati volevano che egli si limitasse ad affermare o a rinnegare la verità delle accuse che gli erano state mosse. Gerolamo protestò contro tali crudeltà e ingiustizie. “Mi avete tenuto chiuso in un orribile carcere per trecentoquaranta giorni” disse “in mezzo alla sporcizia, all’umidità, al fetore, privo di tutto; poi mi avete chiamato e mentre accettate le accuse dei miei nemici, rifiutate di ascoltarmi... Se siete realmente uomini saggi e luci del mondo, non peccate contro la giustizia. Quanto a me, io sono solo un pover uomo, la mia vita ha ben poca importanza e se vi esorto a non pronunciare una sentenza ingiusta, parlo più per voi che per me”.21 GC 93.2

Alla fine la richiesta venne accolta e in presenza dei suoi giudici Gerolamo si inginocchiò e pregò perché lo Spirito divino dirigesse i suoi pensieri e le sue parole, aiutandolo a non dire nulla contro la verità, nulla che non fosse degno del Maestro. Quel giorno si adempì per lui la promessa di Gesù ai primi discepoli: “...sarete menati davanti a governatori e re per cagion mia... Ma quando vi metteranno nelle loro mani, non siate in ansietà del come parlerete o di quel che avrete a dire; perché in quell’ora stessa vi sarà dato ciò che avrete a dire. Poiché non siete voi che parlate, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi”. Matteo 10:18-20. GC 93.3

Le parole di Gerolamo suscitarono stupore e ammirazione nei suoi stessi nemici. Per un anno intero egli era rimasto chiuso in carcere, nell’oscurità, senza poter leggere, in preda a grandi sofferenze fisiche e a profonde angosce. Eppure le sue argomentazioni erano esposte con tale chiarezza e potenza che si sarebbe detto avesse avuto la possibilità di studiare indisturbato. Egli ricordò ai presenti la lunga schiera di santi uomini che erano stati condannati da giudici ingiusti. Quasi in ogni generazione vi erano stati uomini che nonostante si fossero impegnati a illuminare i loro contemporanei, erano stati rimproverati e scacciati. Solo in un secondo tempo erano stati riconosciuti degni di rispetto e di onori. Cristo stesso fu condannato come malfattore da un tribunale ingiusto. GC 93.4

Precedentemente, in occasione dell’abiura, Gerolamo aveva riconosciuto la giustizia della sentenza di condanna di Hus. Ora, invece, si dichiarava pentito e testimoniava dell’innocenza e della santità del martire. “Lo conoscevo fin dalla sua infanzia” disse. “Era un uomo straordinario, giusto e santo. Fu condannato, nonostante la sua innocenza. Anch’io sono pronto a morire e non indietreggerò davanti ai tormenti che i miei nemici e i falsi testimoni preparano per me. Essi un giorno saranno chiamati a rendere conto delle loro false accuse davanti al grande Dio, che nessuno può ingannare”.22 GC 94.1

Spinto dal rimorso di avere rinnegato la verità, Gerolamo proseguì: “Di tutti i peccati commessi fin dall’infanzia, nessuno mi deprime maggiormente e mi procura un così profondo rimorso di quello commesso in questo luogo, quando approvai l’iniqua sentenza contro Wycliffe e contro il santo martire Jan Hus, mio maestro e amico. Sì! Lo confesso con tutto il cuore e lo dichiaro con profondo orrore: ho sbagliato, ho vergognosamente sbagliato quando, per paura della morte, ho condannato le loro dottrine. Perciò ti supplico... Dio onnipotente, di perdonare i miei peccati e particolarmente questo, che è il più odioso di tutti!” Rivolgendosi poi ai giudici, egli disse con fermezza: “Voi condannaste Wycliffe e Jan Hus, non perché avevano messo in discussione la dottrina della chiesa, ma semplicemente perché avevano avuto il coraggio di protestare contro gli scandali del clero, contro il fasto, l’orgoglio e i vizi dei sacerdoti e dei prelati. Quello che essi affermarono, e che è irrefutabile, lo penso anch’io e lo confermo!” GC 94.2

Le sue parole furono interrotte. I prelati frementi d’ira gridarono: “Che bisogno c’è di altre prove? Questo è il più ostinato degli eretici!” GC 94.3

Senza lasciarsi spaventare da questa reazione, Gerolamo proseguì: “Che cosa?! Pensate forse che io abbia paura di morire? Mi avete tenuto per un anno in un carcere orribile, più orribile della morte stessa. Mi avete trattato più crudelmente di un turco, di un ebreo o di un pagano e la mia carne si è letteralmente imputridita sulle mie ossa. Eppure io non mi lamento, perché i lamenti fanno ammalare lo spirito e il cuore. Però io non posso fare a meno di esprimere il mio stupore davanti a tanta barbarie nei confronti di un cristiano”.23 GC 94.4

Il tumulto esplose nuovamente e Gerolamo fu ricondotto in carcere. Vi erano, però, nell’assemblea, degli uomini sui quali le sue parole avevano prodotto una profonda impressione e che desideravano salvargli la vita. In prigione, Gerolamo ebbe la visita di alcuni dignitari della chiesa, che lo esortarono a sottomettersi al concilio e che gli fecero considerare i vantaggi e le brillanti prospettive che si sarebbero aperti davanti a lui come ricompensa per la sua rinuncia a opporsi a Roma. Egli, però, come il Maestro quando gli venne offerta la gloria del mondo, rimase saldo. GC 95.1

“Provatemi con le Sacre Scritture” egli disse “che sono nell’errore e abiurerò”. GC 95.2

“Le Sacre Scritture!” esclamò uno dei presenti. “Come è possibile giudicare in base alle Scritture? Chi può capirle, se la chiesa non le interpreta?” GC 95.3

“Le tradizioni degli uomini” replicò Gerolamo “sono più degne di fede del Vangelo del nostro Salvatore? Paolo non esortava coloro ai quali scriveva a prestare ascolto alle tradizioni degli uomini, ma diceva di investigare le Scritture”. GC 95.4

“Eretico!” fu la risposta. “Mi pento di avere discusso così a lungo con te e mi rendo conto che sei guidato dal diavolo”.24 GC 95.5

Dopo che la sentenza di condanna fu pronunciata, Gerolamo venne condotto sul luogo stesso dove Hus era stato giustiziato. Vi si recò cantando e con il volto illuminato dalla pace e dalla gioia. Il suo sguardo era fisso su Gesù e per lui la morte perdeva ogni orrore. Quando il carnefice, per accendere il rogo, si nascose alle sue spalle, il martire gli disse: “Accendi pure davanti a me. Se io avessi avuto paura di morire non sarei qui!” GC 95.6

Le sue ultime parole, pronunciate mentre le fiamme divampavano, furono una preghiera: “Signore, Padre onnipotente” gridò “abbi pietà di me e perdona i miei peccati, perché tu sai che io ho sempre amato la tua verità”.25 La sua voce venne meno, ma le sue labbra continuarono a muoversi in preghiera. Quando il fuoco ebbe compiuta la sua opera le ceneri del martire, con la terra sulla quale giacevano, furono raccolte e, come quelle di Hus, gettate nel Reno. GC 95.7

Così morirono i fedeli testimoni di Dio. Ma la luce della verità da essi proclamata, il loro eroico esempio, non potevano spegnersi. Come gli uomini non possono impedire al sole di proseguire il suo corso e di risplendere sul mondo, così essi non sarebbero riusciti a impedire il sorgere di un nuovo giorno che stava per nascere. GC 95.8

L’esecuzione di Hus aveva acceso in Boemia una reazione di indignazione e di orrore. Tutta la nazione sentiva di essere stata vittima dell’astuzia dei sacerdoti e del tradimento dell’imperatore e Hus venne riconosciuto come un fedele predicatore della verità. Il concilio che aveva decretato la sua morte venne accusato di aver emanato una sentenza ingiusta e le dottrine del riformatore finirono per suscitare un’attenzione senza precedenti. Gli scritti di Wycliffe, per decreto papale, erano stati condannati alla distruzione con il fuoco, ma una parte di essi fu nascosta e sottratta alla distruzione. Ripresero quindi a circolare e diventarono oggetto di studio, confrontati con la Bibbia o parti di essa. Così molta gente aderì alla fede riformata. GC 96.1

I nemici di Hus non rimasero a contemplare il suo trionfo: il papa e l’imperatore si unirono per schiacciare il movimento e gli eserciti di Sigismondo invasero la Boemia. GC 96.2

Ma sorse un liberatore, Ziska, condottiero dei boemi, che poco dopo l’inizio delle ostilità diventò totalmente cieco; fu uno dei più abili generali della storia. Confidando nell’aiuto di Dio e nella giustizia della sua causa, quel popolo resistette agli eserciti più agguerriti. Ripetutamente l’imperatore reclutò nuove leve e invase la Boemia: ogni volta, però, veniva respinto. Gli hussiti non temevano la morte e così nessuno poteva sconfiggerli. Alcuni anni dopo, il bravo Ziska morì, ma il suo posto fu preso da Procopio, un generale altrettanto valoroso e abile e, sotto certi aspetti, migliore del predecessore. GC 96.3

I nemici dei boemi, sapendo che il guerriero cieco era morto, ritennero fosse giunto il momento di riconquistare ciò che avevano perso. GC 96.4

Il papa proclamò una crociata contro gli hussiti e un forte esercito invase la Boemia, ma riportò una terribile sconfitta. Fu organizzata un’altra crociata e in tutti i paesi d’Europa si raccolsero uomini, denaro e munizioni per la guerra. Innumerevoli schiere di soldati si arruolarono sotto la bandiera del papa, nella certezza che alla fine gli eretici hussiti sarebbero stati sterminati. Certo della vittoria l’esercito penetrò in Boemia. Il popolo si riunì per respingerlo. I due eserciti opposti si avvicinarono l’uno all’altro fino a quando solo un fiume li separava. “I crociati erano numericamente superiori, ma anziché attraversare il corso d’acqua e combattere contro le forze hussite, rimasero fermi a osservare quei guerrieri”. 26 GC 96.5

Improvvisamente un misterioso terrore si impossessò di loro e senza colpo ferire, quel forte esercito si disperse e si dissolse come annientato da una potenza invisibile. L’esercito hussita, lanciatosi all’inseguimento del nemico in fuga, raccolse un immenso bottino di guerra. Così quella crociata, anziché impoverire la Boemia, l’arricchì. GC 97.1

Alcuni anni dopo, con un nuovo papa, si organizzò un’altra crociata. Come prima, uomini e mezzi furono raccolti in tutta Europa. Notevoli vantaggi venivano offerti a chi si fosse unito a questa impresa. A ogni crociato venne garantito il perdono assoluto dei più odiosi crimini commessi. Tutti i morti in battaglia avrebbero ricevuto una ricca ricompensa celeste. Quelli che, invece, fossero sopravvissuti, avrebbero ricevuto onori e ricchezze sul campo di battaglia. Fu organizzato un forte esercito che attraversò la frontiera e invase la Boemia. Le forze hussite ripiegarono attirando gli invasori sempre più lontano dalle loro basi di partenza e sempre più verso il centro del paese. Questa ritirata strategica degli hussiti fece credere ai crociati di aver vinto. Ma non era così: gli eserciti di Procopio si fermarono e affrontarono gli invasori. I crociati, accortisi troppo tardi dell’errore commesso, ne commisero un altro: rimasero nei loro accampamenti in attesa degli sviluppi della situazione. Quando udirono il rumore delle forze nemiche che si avvicinavano, ancor prima che gli hussiti fossero in vista, furono colti dal panico. Principi, generali, semplici soldati gettarono le armi e fuggirono in ogni direzione. Invano il legato pontificio cercò di riunire quelle forze terrorizzate e disorganizzate: egli stesso fu trascinato via dall’onda dei fuggitivi. La disfatta fu totale e di nuovo un grande bottino cadde nelle mani dei vincitori. GC 97.2

Anche questa volta un potente esercito nemico, inviato dalle più forti nazioni europee e formato da uomini agguerriti, valorosi, ben addestrati e ben equipaggiati, era fuggito, senza difendersi, davanti ai difensori di una piccola e debole nazione. Gli invasori erano stati colpiti da un terrore soprannaturale: colui che aveva disperso le schiere di faraone al mar Rosso, che aveva messo in fuga gli eserciti di Madian davanti a Gedeone e ai suoi trecento uomini, che in una sola notte aveva sconfitto le forze dell’orgogliosa Assiria, era intervenuto ancora una volta per annientare gli eserciti dell’oppressore. “Ecco là, son presi da grande spavento, ove prima non c’era spavento; poiché Dio ha disperse le ossa di quelli che ti assediavano; tu li hai coperti di confusione, perché Iddio li disdegna”. Salmi 53:5. GC 97.3

I capi della chiesa di Roma, convinti di non poter vincere con la forza, ricorsero alla diplomazia. Si giunse a un compromesso che, mentre ufficialmente accordava ai boemi la libertà di coscienza, in realtà li assoggettava al potere di Roma. I boemi avevano precisato quattro condizioni per il trattato di pace con Roma: libera predicazione della Bibbia; diritto dell’intera chiesa a partecipare, nella comunione, al pane e al vino e uso della lingua materna per il culto; esclusione del clero da ogni ufficio o posizione di carattere secolare; in caso di crimini, sia per i laici sia per gli ecclesiastici, valeva la giurisdizione dei tribunali civili. Le autorità della chiesa di Roma accettarono “i quattro articoli degli hussiti, riservandosi però il diritto che essi venissero spiegati, cioè che ne fosse determinata la portata dal concilio. In altri termini, tale facoltà era concessa al papa e all’imperatore”.27 Su questa base l’accordo fu raggiunto e Roma, con la dissimulazione e la frode, ottenne quel successo che non era riuscita a conseguire con la guerra. Infatti, aggiungendo la propria interpretazione agli articoli proposti dagli hussiti, come anche alla Bibbia, poteva modificare il significato e utilizzarli per i suoi scopi. GC 97.4

In Boemia molti non sottoscrissero il trattato, visto che esso tradiva la loro libertà. Ne seguirono dissensi, divisioni e spargimento di sangue. In questa lotta perse la vita il coraggioso Procopio e con lui praticamente ebbe fine la libertà boema. GC 98.1

Sigismondo, il traditore di Hus e di Gerolamo, divenne re di Boemia e, dimenticando il giuramento fatto per sostenere i diritti dei boemi, aprì le porte al papato. Però egli aveva tratto ben poco profitto dal suo servilismo per Roma. Infatti, per circa vent’anni la sua esistenza era stata piena di difficoltà e di pericoli, i suoi eserciti erano stati sistematicamente sconfitti e le finanze esaurite da una guerra lunga e inutile. Dopo un anno di regno egli morì, lasciando la sua nazione in una situazione vicina alla guerra civile e tramandando ai posteri un nome macchiato dall’infamia. GC 98.2

Tumulti, risse e spargimenti di sangue continuarono. Il paese venne nuovamente invaso dagli eserciti stranieri, mentre i dissidi interni straziavano la nazione. Quanti rimasero fedeli al messaggio del Vangelo furono oggetto di sanguinose persecuzioni. GC 98.3

Gli aderenti all’antica fede fondarono una chiesa che prese il nome di “Fratelli uniti”. Esposti agli anatemi di tutti rimasero fedeli alle loro convinzioni. Sebbene costretti a rifugiarsi nei boschi e nelle caverne, essi continuarono a riunirsi per leggere la Parola di Dio e per celebrare il loro culto. GC 98.4

Mediante messaggeri inviati segretamente in vari paesi, essi appresero che qua e là vi erano “altri testimoni della verità, alcuni in una città, altri in un’altra e, come loro, oggetto di persecuzioni. In mezzo alle montagne delle Alpi esisteva un’antica chiesa rimasta fedele ai princìpi della Sacra Scrittura e che protestava contro l’idolatrica corruzione di Roma”.28 Questa notizia fu accolta con immensa gioia ed essi stabilirono dei contatti con i cristiani valdesi. GC 98.5

Fedeli al Vangelo, i boemi aspettarono, nella buia notte della persecuzione, nell’ora più oscura, volgendo lo sguardo verso l’orizzonte, il sorgere del mattino. “Erano giorni tristi, ma... essi ricordavano le parole di Hus e di Gerolamo secondo cui sarebbe passato un secolo prima che potesse spuntare il giorno fatidico. Per i taboriti (hussiti) esse furono come le parole di Giuseppe alle tribù d’Israele: ‘Io muoio, ma Dio per certo vi visiterà e vi farà uscire’”.29 GC 99.1

“Il periodo finale del XV secolo vide il lento ma sicuro progresso delle chiese dei fratelli, che anche se non esenti da persecuzioni poterono godere di una relativa tregua. All’inizio del XVI secolo, in Boemia e in Moravia, se ne contavano duecento”.30 GC 99.2

“Risultò così abbastanza numeroso il rimanente che, sfuggendo alla furia devastatrice del fuoco e della spada, salutò l’alba del giorno preannunciato da Hus”.31 GC 99.3