La speranza dell’uomo
Capitolo 78: Calvario
“E quando furon giunti al luogo detto il Teschio, crocifissero quivi lui e i malfattori, l’uno a destra e l’altro a sinistra”. Luca 23:33. SU 570.1
“Perciò anche Gesù, per santificare il popolo col proprio sangue, soffrì fuor della porta”. Ebrei 13:12. Adamo ed Eva furono esclusi dall’Eden per avere trasgredito la legge di Dio. Gesù, il nostro sostituto, doveva essere immolato fuori di Gerusalemme. Egli morì fuori della porta, nel luogo in cui venivano giustiziati i delinquenti e gli assassini. Ricche di profondo significato sono le seguenti parole: “Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, essendo divenuto maledizione per noi”. Galati 3:13. SU 570.2
Una gran folla seguì Gesù dal tribunale al Calvario. La notizia della sua condanna si era diffusa in tutta Gerusalemme, e persone di ogni classe sociale accorrevano verso il luogo della crocifissione. I sacerdoti e i capi avevano promesso che non avrebbero infierito sui discepoli di Gesù, se Egli fosse stato consegnato loro; perciò numerosi discepoli e credenti della città e dei dintorni si unirono alla folla che accompagnava il Salvatore. SU 570.3
Mentre Gesù usciva dal cortile del palazzo di Pilato, gli venne posta sulle spalle ferite e sanguinanti la croce preparata per Barabba. Altre due croci vennero poste sui due compagni di Barabba che sarebbero stati crocifissi insieme con Gesù. Ma il Salvatore, debole e sofferente, non poteva portare quel peso. Da quando aveva celebrato con i discepoli la cena di Pasqua, non aveva né mangiato né bevuto. SU 570.4
Durante la lunga agonia del Getsemani Gesù aveva lottato contro le forze sataniche. Aveva provato l’angoscia del tradimento e aveva visto i discepoli abbandonarlo e fuggire. Era stato condotto da Anna e da Caiafa, poi da Pilato. Era stato mandato da Erode, e infine rimandato da Pilato. Era passato da un insulto a un altro, da una beffa a un’altra; per due volte era stato flagellato, e tutto il tormento della notte lo aveva ridotto all’estremo delle forze. Ma il Cristo non aveva perso la sua presenza di spirito e non aveva pronunciato nessuna parola che non fosse di gloria a Dio. Durante tutta l’infelice farsa del processo, aveva avuto un atteggiamento di dignitosa fermezza. Ma quando, dopo la seconda flagellazione, gli venne posta addosso la croce, la sua natura umana non poté sopportarla e perse l’equilibrio sotto quel peso. La folla lo vide incerto e vacillante ma, anziché provare compassione, lo ingiuriava e lo scherniva per la sua debolezza. La croce gli venne posta nuovamente sulle spalle, ma nuovamente Gesù cadde. I suoi persecutori si resero conto che non poteva portare quel peso, ma si chiedevano chi avrebbe acconsentito a prendere quel fardello infamante. Gli ebrei che lo avessero fatto, si sarebbero contaminati e non avrebbero potuto celebrare la Pasqua. Nessuno tra quella folla avrebbe accettato quell’incarico. SU 570.5
Ma ecco uno straniero, Simone cireneo, che veniva dai campi, incontrò il corteo. Udì gli insulti e le beffe della folla; udì il grido sprezzante: “Fate largo al re dei giudei”. Si stupì, e mentre esprimeva la sua compassione, lo afferrarono e gli misero addosso la croce. SU 571.1
Simone cireneo aveva sentito parlare di Gesù. I suoi figli credevano nel Salvatore, ma lui non era un discepolo. Quel servizio a cui lo costrinsero fu una benedizione per lui, e ne fu sempre grato alla Provvidenza. Quell’atto lo indusse ad accettare in seguito, spontaneamente, la croce del Cristo e a portarla sempre volentieri. SU 571.2
Tra la folla che seguiva quell’innocente verso la morte crudele vi erano numerose donne, la cui attenzione era fissa su Gesù. Alcune di loro lo avevano già visto prima e gli avevano anche portato i loro malati e i loro sofferenti. Alcune erano state guarite. La gente raccontava tutto quello che era accaduto precedentemente, ed esse si stupivano nel veder l’odio della folla per colui verso il quale esse provavano tanta gratitudine. Ma il furore della gente e le parole piene d’ira dei sacerdoti e dei capi non impedirono a quelle donne di esprimere al Salvatore la loro simpatia. E mentre Egli cadeva sotto la croce, esse esprimevano lugubri lamenti. SU 571.3
Questa fu l’unica cosa che attrasse l’attenzione di Gesù. Sebbene soffrisse per il peso dei peccati del mondo, non era indifferente all’espressione di dolore e guardò quelle donne con tenera compassione. Esse non credevano in lui e non piangevano su di lui come sull’inviato di Dio, ma erano mosse da sentimenti di pietà umana. Gesù non rimase indifferente, provò per loro una profonda simpatia, e disse: “Figliuole di Gerusalemme, non piangete per me, ma piangete per voi stesse e per i vostri figliuoli”. Luca 23:28. Sollevando lo sguardo da quella scena di dolore, Gesù lo volse verso la distruzione di Gerusalemme, quando molte di coloro che ora piangevano per lui sarebbero morte insieme con i loro figli. SU 571.4
Dalla caduta di Gerusalemme il pensiero di Gesù passò a un giudizio più vasto. Nella distruzione di quella città Egli vide un simbolo della distruzione finale del mondo, e disse: “Allora prenderanno a dire ai monti: Cadeteci addosso; ed ai colli: Copriteci. Poiché se fan queste cose al legno verde, che sarà egli fatto al secco?” Luca 23:30, 31. Il legno verde rappresentava Gesù stesso, il Salvatore innocente. Dio permise che la condanna del peccato ricadesse sul suo amato Figlio: Gesù doveva essere crocifisso per i peccati degli uomini. Ma quale grave punizione si sarebbe abbattuta sui peccatori? Certamente un dolore e una sventura che le parole umane erano incapaci di esprimere. SU 571.5
Molti che seguivano il Salvatore al Calvario, alcuni giorni prima avevano partecipato ai gioiosi festeggiamenti e avevano agitato le palme quando era entrato trionfalmente in Gerusalemme. Ma non pochi di coloro che si erano uniti alle lodi per l’entusiasmo popolare, ripetevano ora il grido: “Crocifiggilo, crocifiggilo!” Quando il Cristo era entrato in Gerusalemme, sembrava che le più grandi speranze dei discepoli si compissero. Si erano accostati al loro Maestro fieri del privilegio di appartenergli. Ora, nel momento della umiliazione, lo seguivano da lontano, profondamente addolorati e abbattuti per le speranze deluse. Si dimostravano vere le parole di Gesù: “Questa notte voi tutti avrete in me un’occasion di caduta; perché è scritto: Io percoterò il pastore e le pecore della greggia saranno disperse”. Matteo 26:31. SU 572.1
Giunti sul luogo del supplizio, i prigionieri vennero legati agli strumenti di tortura. I due ladroni si dibattevano fra le mani dei crocifissori; ma Gesù non oppose resistenza. La madre di Gesù, sostenuta da Giovanni, aveva seguito il figlio fino al Calvario. Lo aveva visto cadere sotto il peso della croce; avrebbe voluto sostenergli il capo ferito e tergere quella fronte che una volta si appoggiava sul suo seno. Ma non le fu permesso di appagare quel suo desiderio. Insieme con i discepoli accarezzava ancora la speranza che Gesù manifestasse la sua potenza e si liberasse dai nemici. Ma il suo cuore soffriva nel ricordare le parole con cui Gesù aveva predetto ciò che stava accadendo, e lo guardava con attesa spasmodica mentre i ladroni venivano appesi alla croce. Colui che aveva reso la vita ai morti, avrebbe permesso che lo crocifiggessero? Il Figlio di Dio si sarebbe lasciato uccidere in un modo così crudele? Doveva rinunciare a credere che Gesù fosse il Messia? Doveva partecipare a una simile infamia e a un tale dolore senza poterlo aiutare nella sua sofferenza? Vide le sue mani stese sulla croce; vide il martello e i chiodi, ma quando le loro punte cominciarono a penetrare in quelle tenere carni, i discepoli affranti portarono via da quella scena crudele il corpo vacillante della madre di Gesù. SU 572.2
Dalla bocca del Salvatore non uscì nessun lamento. Il suo volto rimase calmo e sereno, ma grandi gocce di sudore gli imperlavano la fronte. Nessuna mano pietosa tergeva quel volto, nessuna parola di simpatia e di fedeltà consolava quel cuore. Mentre i soldati compivano la loro opera tremenda, Gesù pregava per i suoi nemici: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”. Luca 23:34. Il suo animo si volse dalle sue sofferenze verso il peccato dei suoi persecutori e a quella che sarebbe stata la loro terribile punizione. Gesù non espresse nessuna parola di condanna per i soldati che lo trattavano con tanta durezza; non invocò nessuna vendetta sui sacerdoti e sui capi che erano contenti per l’attuazione del loro piano. Gesù ebbe compassione della loro ignoranza e della loro colpa, e pronunciò soltanto una preghiera di intercessione: chiedeva per loro il perdono, perché non sapevano quello che facevano. SU 572.3
Se avessero saputo che torturavano e uccidevano colui che era venuto per salvare dalla rovina eterna gli uomini peccatori, avrebbero provato un profondo rimorso e un grande orrore. Tuttavia la loro ignoranza non ne giustificava la colpa, perché avrebbero potuto conoscere e accettare Gesù come loro Salvatore. Alcuni di loro in seguito avrebbero riconosciuto il loro peccato, si sarebbero pentiti e convertiti; altri invece, per la durezza del loro cuore, avrebbero impedito l’esaudimento della preghiera di Gesù. Tuttavia il piano di Dio si sarebbe adempiuto. Gesù acquistava il diritto di diventare l’avvocato degli uomini presso il Padre. SU 573.1
La preghiera di Gesù per i suoi nemici si estendeva a tutto il mondo, e abbracciava ogni peccatore dal principio sino alla fine dei tempi. Tutti sono responsabili della crocifissione del Figlio di Dio, e tutti possono ottenere liberamente il perdono. Chiunque vuole può riconciliarsi con Dio e avere la vita eterna. Appena Gesù fu inchiodato, uomini robusti sollevarono brutalmente quello strumento di tortura e lo conficcarono nel terreno, provocando un dolore atroce nel figlio di Dio. Pilato aveva redatto un’iscrizione in ebraico, in greco e in latino, e l’aveva fatta porre sulla croce, proprio sul capo di Gesù. In essa si leggeva: “Gesù il Nazareno, il Re de’ Giudei”. I giudei si irritarono per quella iscrizione. Nel tribunale di Pilato avevano gridato: “Crocifiggilo!... Noi non abbiamo altro re che Cesare” (Giovanni 19:19, 15), dichiarando così che chiunque riconosceva un altro re era un traditore. Quella iscrizione, fatta apporre da Pilato, era conforme ai loro sentimenti; in essa non era espressa alcuna accusa, se non che Gesù era il re dei giudei. Quella iscrizione era il riconoscimento della fedeltà che gli ebrei dovevano al potere romano: chiunque si attribuiva il titolo di re dei giudei veniva giudicato e condannato a morte. I sacerdoti avevano fatto torto a se stessi. Quando complottavano contro Gesù, Caiafa aveva esplicitamente dichiarato che era bene che uno solo morisse per salvare tutto il popolo. Adesso la loro ipocrisia si manifestava. Pur di sopprimere Gesù, erano pronti a sacrificare perfino la loro esistenza come nazione. SU 573.2
I sacerdoti si resero conto della gravità di quello che avevano dichiarato e chiesero a Pilato di cambiare quell’iscrizione. “Non scrivere: il Re dei Giudei; ma che egli ha detto: Io sono il Re de’ Giudei”. Giovanni 19:21. Ma Pilato, arrabbiato con se stesso per la sua precedente debolezza, e sprezzando la gelosia e l’invidia di quegli astuti sacerdoti e capi, rispose con freddezza: “Quel che ho scritto, ho scritto”. Giovanni 19:22. SU 574.1
Una potenza superiore a quella di Pilato e dei giudei aveva disposto che fosse collocata quell’iscrizione sul capo di Gesù. Dio voleva far riflettere gli uomini e indurli a investigare le Scritture. Il luogo della crocifissione era vicino alla città. Migliaia di pellegrini si trovavano a Gerusalemme, ed essi sarebbero venuti a sapere di quella iscrizione che attestava che Gesù di Nazaret era il Messia. Si trattava di una verità vivente, scritta da una mano guidata da Dio. SU 574.2
Con le sofferenze di Gesù sulla croce si adempivano le profezie. Secoli prima della crocifissione, il Salvatore aveva predetto come sarebbe stato trattato. Egli aveva detto: “Cani m’han circondato; uno stuolo di malfattori m’ha attorniato; m’hanno forato le mani e i piedi. Posso contare tutte le mie ossa. Essi mi guardano e m’osservano; spartiscon fra loro i miei vestimenti e tirano a sorte la mia veste”. Salmi 22:16-18. La profezia relativa alle vesti si adempì senza l’intervento di amici o nemici del crocifisso. Infatti, le sue vesti furono date ai soldati che lo avevano messo sulla croce. Gesù li udì mentre discutevano sul modo con cui dividersele. La sua tunica era senza cuciture, ed essi dissero: “Non la stracciamo, ma tiriamo a sorte a chi tocchi”. Giovanni 19:24. SU 574.3
In un’altra profezia il Salvatore aveva dichiarato: “Il vituperio m’ha spezzato il cuore e son tutto dolente; ho aspettato chi si condolesse meco, non v’è stato alcuno; ho aspettato dei consolatori, ma non ne ho trovati. Anzi mi han dato del fiele per cibo, e, nella mia sete, m’han dato a ber dell’aceto”. Salmi 69:20, 21. Si concedeva un narcotico a coloro che morivano sulla croce, per attenuare le sofferenze. Esso fu offerto anche a Gesù, ma Egli, dopo averlo assaggiato, lo rifiutò. Non voleva prendere nulla che gli offuscasse la mente. La sua fede in Dio doveva rimanere ferma: era la sua unica forza. Se i suoi sensi fossero stati offuscati, Satana ne avrebbe avuto un vantaggio. SU 574.4
I nemici di Gesù sfogavano la loro collera mentre Egli era sulla croce. Sacerdoti, capi e scribi si univano alla folla per insultare il Salvatore morente. Al battesimo e alla trasfigurazione, la voce di Dio aveva proclamato che Gesù era il suo amato Figlio. Anche poco prima del tradimento il Padre aveva dato un’ulteriore testimonianza della sua divinità. Ma in quel momento la voce del cielo taceva. Non si udiva nessuna testimonianza in favore di Gesù. Era solo, abbandonato alla violenza e agli insulti di uomini malvagi. SU 574.5
Questi dissero: “Se tu sei Figliuol di Dio... scendi giù di croce”. Matteo 27:40. “Salvi se stesso, se è il Cristo, l’Eletto di Dio!” Luca 23:35. Nel deserto Satana aveva tentato Gesù: “Se tu sei il Figliuol di Dio, di’ che queste pietre divengan pani... Se tu sei Figliuol di Dio, gettati giù”. Matteo 4:3, 6. Satana e i suoi demoni, in veste umana, erano presenti alla crocifissione; il capo e i suoi accoliti collaboravano con i sacerdoti e con i capi. I rabbini avevano spinto la folla ignorante a pronunciare parole di condanna contro qualcuno che molti di loro non avevano mai visto, e a presentare false testimonianze. Sacerdoti, capi, farisei, mossi da una frenesia satanica, si erano alleati. I capi religiosi si unirono a Satana e ai suoi seguaci, disposti ad adempiere la sua volontà. SU 575.1
Gesù agonizzante udiva tutte le parole dei sacerdoti. “Ha salvato altri e non può salvar se stesso! Da che è il re d’Israele, scenda ora giù di croce, e noi crederemo in lui”. Matteo 27:42. Egli sarebbe potuto scendere dalla croce; ma proprio perché non lo fece, i peccatori hanno ottenuto la speranza del perdono di Dio. SU 575.2
Facendosi beffe del Salvatore, quegli uomini che si professavano interpreti della profezia ripetevano proprio le stesse parole che le Scritture avevano previsto che avrebbero pronunciato. Nella loro cecità non si resero conto che stavano adempiendo quella profezia. Coloro che con derisione dicevano: “S’è confidato in Dio; lo liberi ora, s’Ei lo gradisce, poiché ha detto: Son Figliuol di Dio” (Matteo 27:43), non pensavano che la loro dichiarazione sarebbe riecheggiata attraverso i secoli. Ma sebbene pronunciate con scherno, quelle parole indussero gli uomini a studiare le Scritture con maggiore impegno. Uomini saggi ascoltarono, approfondirono, ricercarono e pregarono. Alcuni non si dettero pace finché, dopo un esame attento dei passi, non ebbero compreso il significato della missione del Cristo. Mai prima Gesù era stato tanto celebre come nel momento in cui si trovava sulla croce. La luce della verità risplendeva nei cuori di molti che contemplavano la scena della crocifissione e udivano le parole di Gesù. SU 575.3
Una luce di consolazione giunse a Gesù agonizzante: la preghiera del buon ladrone. I due uomini che erano crocifissi con Gesù lo avevano dapprima schernito. Via via che le sofferenze aumentavano, uno di loro si fece più disperato e insolente; ma non così l’altro. Egli non era un criminale incallito, era stato traviato da cattive compagnie, ma era meno colpevole di molti che ai piedi della croce stavano oltraggiando il Salvatore. Nel passato aveva visto e udito Gesù, e si era anche convinto della verità dei suoi insegnamenti; ma i sacerdoti e i capi lo avevano distolto. Per soffocare le sue convinzioni, si era abbandonato sempre di più al peccato, finché era stato arrestato, riconosciuto colpevole e condannato alla morte della croce. Si era trovato insieme con Gesù nella sala del tribunale e lungo la strada sino al Calvario. Aveva udito la dichiarazione di Pilato: “Non trovo in lui alcuna colpa”. Giovanni 19:4. Ne aveva notato il comportamento divino e il perdono per i suoi accusatori. SU 575.4
Dalla croce aveva visto molti uomini religiosi scuotere la testa con disprezzo e con scherno. Aveva udito il rimprovero del suo compagno di pena: “Non se’ tu il Cristo? Salva te stesso e noi!” Luca 23:39. Aveva sentito che tra i passanti molti difendevano Gesù, ripetevano i suoi insegnamenti e raccontavano le sue opere. Si convinse che era il Cristo. Si volse al suo compagno di pena e gli disse: “Non hai tu nemmeno timor di Dio, tu che ti trovi nel medesimo supplizio?” Luca 23:40. I malfattori morenti non avevano più nulla da temere dagli uomini, ma uno di loro era convinto che ci fosse un Dio da temere e un futuro terribile. E in quel momento in cui la sua vita di peccato stava per concludersi, disse sospirando: “E per noi è cosa giusta, perché riceviamo la condegna pena de’ nostri fatti; ma questi non ha fatto nulla di male”. Luca 23:41. SU 576.1
Cessarono le domande, i dubbi, i rimproveri. Al momento della condanna quel ladro era disperato, ma ora nascevano in lui nuovi e consolanti pensieri. Si ricordò delle parole di Gesù, della guarigione dei malati, del perdono dei peccati. Aveva udito le parole di coloro che credevano in Gesù e che lo avevano seguito in lacrime; aveva visto e letto l’iscrizione posta sul capo del Salvatore; aveva udito i passanti che la ripetevano, alcuni con labbra tremanti, altri con disprezzo e scherno. Lo Spirito Santo illuminava la sua mente e a poco a poco lo convinceva. In Gesù ferito, insultato, appeso al legno della croce, vide l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. Con una voce mista di angoscia e disperazione, quel moribondo gridò al Salvatore morente: “Gesù, ricordati di me quando sarai venuto nel tuo regno!” Luca 23:42. SU 576.2
Immediatamente giunse la risposta con parole potenti, melodiose e compassionevoli: “In verità, in verità, io ti dico oggi, che sarai con me in paradiso”. Durante le lunghe ore di agonia, Gesù aveva udito ingiurie, insulti e imprecazioni. Mentre era appeso alla croce, giungeva alle sue orecchie il suono delle beffe e delle maledizioni. Aveva desiderato intensamente udire alcune espressioni di fede da parte dei suoi discepoli, ma aveva sentito soltanto queste amare parole: “Or noi speravamo che fosse lui che avrebbe riscattato Israele”. Luca 24:21. Le espressioni di fede e amore del ladrone pentito consolarono il suo cuore. Mentre i capi lo rinnegavano e perfino i suoi discepoli dubitavano della sua divinità, quel povero ladrone, sulla soglia dell’eternità, riconosceva Gesù come suo Signore. Molti erano pronti a chiamarlo Signore quando compiva dei miracoli e quando risuscitava i morti; ma nessuno, eccetto quel ladrone salvato nell’ultima ora, lo riconosceva mentre agonizzava là sulla croce. SU 576.3
Gli astanti udirono le parole che il ladrone rivolse a Gesù, e rimasero colpiti dal tono della sua voce. I suoi crocifissori, che discutevano sulle sue vesti e che le tiravano a sorte, si fermarono per ascoltare. Le loro voci adirate tacquero, e con il fiato sospeso guardarono Gesù per udire la risposta che sarebbe uscita da quelle labbra morenti. SU 577.1
Mentre Egli rivolgeva al ladrone la sua promessa, le fitte tenebre che parevano circondare la croce furono attraversate da una luce brillante e fulgida. Il ladrone pentito, sentendosi accettato da Dio, provò una pace perfetta. Il Cristo fu glorificato nella sua umiliazione. Colui che agli occhi di tutti sembrava vinto, in realtà era il vincitore ed era riconosciuto come Redentore. Gli uomini potevano maltrattare il suo corpo, ferire le sue tempie con una corona di spine, strappargli le vesti e poi dividersele, ma non potevano togliergli il potere di perdonare i peccati. Morendo, Egli testimoniò della propria divinità e della gloria del Padre. Il suo orecchio non è troppo duro per non poter udire, né la sua mano troppo corta per non poter salvare. È suo diritto reale salvare tutti coloro che si accostano a Dio tramite lui. SU 577.2
Gesù disse al ladrone: “Io ti dico, oggi, che sarai con me in paradiso”. Gesù non gli promise che sarebbe stato in paradiso con lui in quel giorno, perché Egli stesso non vi andò in quel giorno. Si riposò nella tomba, e nel mattino della risurrezione disse: “Non sono ancora salito al Padre”. Giovanni 20:17. La promessa veniva fatta proprio nel giorno della crocifissione, giorno che sembrava quello del trionfo delle tenebre e della sconfitta. “Oggi”, mentre moriva sulla croce come un malfattore, il Cristo assicurava al povero peccatore che sarebbe stato con lui in paradiso. SU 577.3
I ladroni crocifissi con Gesù erano stati posti “uno di qua, l’altro di là, e Gesù nel mezzo”. Giovanni 19:18. I sacerdoti e i capi avevano stabilito quella disposizione per mostrare che Gesù era il più colpevole dei tre. In questo modo si adempivano le Scritture: “Ed è stato annoverato fra i trasgressori”. Isaia 53:12. Ma i sacerdoti non compresero il significato di quello che avevano fatto. Come Gesù fu messo in croce in mezzo a due ladroni, così la sua croce sarebbe stata posta in mezzo a un mondo morente nel peccato. Le parole di perdono rivolte al ladrone penitente accendevano una luce che avrebbe illuminato anche gli estremi limiti della terra. Gli angeli stupiti contemplavano l’amore infinito di Gesù che, sebbene nella tremenda agonia dello spirito e del corpo, pensava solo agli altri e incoraggiava quel penitente a credere. Nella sua umiliazione aveva rivolto parole profetiche alle figlie di Gerusalemme, come sacerdote e avvocato aveva interceduto presso il Padre in favore dei suoi crocifissori; come Salvatore aveva perdonato i peccati del ladrone penitente. SU 577.4
Mentre Gesù guardava la folla, il suo sguardo si posò su una figura ai piedi della croce. Era sua madre, sostenuta dal discepolo Giovanni. Ella non poteva stare lontana dal figlio e Giovanni, sapendo che la fine era vicina, l’aveva ricondotta presso la croce. Nel momento della morte Gesù si ricordò di lei. Guardando il suo volto sconvolto dal dolore, e poi quello di Giovanni, le disse: “Donna, ecco il tuo figlio!” Poi disse a Giovanni: “Ecco tua madre!” Giovanni 19:26, 27. SU 578.1
Giovanni comprese le parole di Gesù e accettò quel compito; da quel momento prese Maria in casa sua e ne ebbe tenera cura. Il Salvatore amorevole e compassionevole, pur in mezzo alla sofferenza fisica e al tormento morale, pensò premurosamente a sua madre. Non aveva denaro da lasciarle; ma aveva avvinto a sé il cuore di Giovanni, e a lui ora affidava sua madre come un prezioso deposito. Così assicurò a Maria ciò di cui aveva bisogno: la tenera simpatia di qualcuno che l’amava perché ella amava Gesù. Accogliendola come se avesse un compito sacro da assolvere, Giovanni riceveva una grande benedizione: Maria gli avrebbe sempre ricordato il suo amato Maestro. SU 578.2
L’esempio perfetto dell’amore filiale del Cristo brilla di fulgido splendore attraverso tutte le epoche. Per circa trent’anni Gesù, lavorando ogni giorno con le proprie mani, aveva aiutato la madre a portare il peso della responsabilità della casa. E ora, perfino nell’estrema agonia, pensava alle necessità della madre, addolorata e sola. Tutti i discepoli del Signore devono essere animati dallo stesso spirito. Chi segue Gesù deve sentire che è parte integrante della religione rispettare i propri genitori e provvedere alle loro necessità. Chi custodisce nel proprio cuore l’amore del Cristo non rifiuterà mai ai genitori la simpatia e la tenerezza a cui hanno diritto. SU 578.3
E ora il Signore della gloria moriva per riscattare l’umanità. Mentre abbandonava la sua vita preziosa, Gesù non era sostenuto da una gioia trionfante, ma circondato dalla tristezza. Non lo angustiava la paura della morte. Non erano il dolore e la vergogna della croce che causavano la sua straziante agonia. Gesù era il primo dei martiri; ma la sua sofferenza scaturiva dal peso del peccato di cui l’uomo non avvertiva più la gravità perché vi si era familiarizzato. Il Cristo vide quanto fosse profondamente radicato il peccato nel cuore dell’uomo e come soltanto pochi fossero disposti a liberarsene. Egli sapeva che senza l’aiuto di Dio l’umanità sarebbe morta e vide che, nonostante questo aiuto, intere folle si sarebbero ugualmente perdute. SU 578.4
Il Cristo, il nostro sostituto e la nostra salvezza, prese su di sé la malvagità di noi tutti. Per poterci redimere dalla condanna della legge, fu annoverato tra i peccatori. I peccati di tutti i discendenti di Adamo gravavano sul suo cuore; la collera di Dio contro il peccato, terribile manifestazione della sua disapprovazione, riempiva di costernazione il cuore di Gesù. Durante la sua vita, il Cristo aveva fatto conoscere al mondo decaduto il buon annuncio della misericordia del Padre e del suo amore che perdona. Egli voleva salvare anche i più grandi peccatori. Ma in quel momento, portando sulle spalle il peso del male, non poteva godere della comunione con il Padre. Il distacco dal Padre in quell’ora suprema di angoscia straziava il cuore del Salvatore con un dolore che nessun uomo può comprendere pienamente. La sua sofferenza morale era tanto grande da non fargli quasi avvertire quella fisica. SU 579.1
Satana rivolse contro Gesù le sue tremende tentazioni. Il Salvatore non riusciva a scorgere nulla al di là della tomba. La speranza della sua vittoria sul sepolcro vacillava, e non era più sicuro che il suo sacrificio fosse gradito al Padre. Sapendo che il peccato è odioso agli occhi di Dio, temeva che la separazione fosse eterna. Il Cristo avvertì l’angoscia che ogni peccatore prova quando la misericordia cessa di intercedere in suo favore. Furono la consapevolezza del peccato e della disapprovazione divina a rendere tanto amaro il calice e a spezzare il cuore del Figlio di Dio. SU 579.2
Gli angeli assistevano attoniti alla disperata agonia del Salvatore e si velavano il volto di fronte a quel terribile spettacolo. La natura stessa esprimeva simpatia per il suo Creatore insultato e morente. Il sole si rifiutò di illuminare quella scena orrenda. I raggi splendenti di mezzogiorno sparirono all’improvviso e fitte tenebre, simili a un drappo funebre, avvolsero la croce. “Si fecero tenebre per tutto il paese fino all’ora nona”. Luca 23:44. Nessuna eclisse, nessuna causa naturale produsse quella oscurità, fitta come quella di una notte senza luna e senza stelle. Era una testimonianza miracolosa che Dio dava per confermare la fede delle generazioni future. Quelle fitte tenebre nascosero la faccia di Dio. Egli aveva fatto delle tenebre la sua dimora e nascondeva la sua gloria alla vista degli uomini. Dio e i suoi angeli erano accanto alla croce. Il Padre era insieme con il Figlio, ma la sua presenza non era visibile; nessun uomo avrebbe potuto resistere se la sua gloria si fosse rivelata pienamente. In quell’ora di prova terribile, Gesù non doveva essere confortato dalla presenza del Padre. Doveva essere solo, nella prova, a “calcare il torchio”; nessuno si doveva trovare accanto a lui. SU 579.3
L’ultima agonia del figlio di Dio fu velata da quelle fitte tenebre. Tutti quelli che videro Gesù nella sua sofferenza si convinsero della sua divinità. Non era possibile dimenticare quel volto. Come la faccia di Caino esprimeva la sua colpa di assassino, così quella di Gesù manifestava l’innocenza, la serenità, la benevolenza, l’immagine di Dio. Ma i suoi accusatori non si resero conto di quella testimonianza. Durante la lunga agonia Gesù era stato oggetto della curiosità di una folla che lo insultava; ora Dio lo copriva misericordiosamente. SU 580.1
Sembrava che un silenzio di morte fosse caduto sul Calvario. La folla accalcata intorno alla croce fu colta da un terrore incontenibile. Le maledizioni e le beffe cessarono all’improvviso: uomini, donne e bambini caddero a terra. Lampi sfolgoranti squarciarono le nuvole e illuminarono il Redentore crocifisso. Sacerdoti, capi, scribi, carnefici e tutta la folla pensarono che fosse giunto il tempo della loro condanna. Alcuni mormoravano che Gesù sarebbe sceso dalla croce; altri cercavano a tastoni di allontanarsi verso la città e si battevano il petto gemendo. SU 580.2
Verso l’ora nona le tenebre diminuirono, ma rimasero solo intorno al Salvatore: erano simbolo dell’agonia e dell’orrore che gravavano sul suo cuore. Nessun occhio poteva penetrare l’oscurità che circondava la croce, e ancor meno quella più fitta dell’anima sofferente del Cristo. Dei lampi sfolgoravano intorno a lui; appeso al legno. Allora “Gesù gridò con gran voce: Elì, Elì, lamà sabactanì? cioè: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” Matteo 27:46. Vedendo l’oscurità che circondava il Salvatore, molti dicevano che era scesa su di lui la vendetta del cielo, e che la collera di Dio lo colpiva per la sua pretesa di essere il Figlio di Dio. Molti di coloro che credevano in lui udirono il suo grido disperato ed ebbero paura. Se Dio aveva dimenticato Gesù, in chi avrebbero dovuto confidare i suoi discepoli? SU 580.3
Quando le tenebre che avvolgevano Gesù si furono allontanate, Egli avvertì la sofferenza fisica, e disse: “Ho sete”. Giovanni 19:28. Un soldato romano, impietosito, mise in cima a un ramo di issopo una spugna inzuppata di aceto e l’accostò alle labbra aride di Gesù. Ma i sacerdoti si beffavano della sua agonia. Si erano impauriti nel vedere le tenebre che coprivano la terra; ma, tornata la luce, temettero che Gesù sfuggisse loro. Fraintesero le sue parole “Elì, Elì, lamà sabactanì?”, e con disprezzo dicevano: “Costui chiama Elia”; respinsero l’ultima occasione di lenire le sue sofferenze, e aggiunsero: “Lascia, vediamo se Elia viene a salvarlo”. Matteo 27:47, 49. SU 580.4
L’innocente Figlio di Dio era là, appeso alla croce; la sua carne era lacerata dalle ferite; le sue mani, che si erano tanto prodigate per benedire, erano inchiodate; anche i suoi piedi, instancabili nel servizio, erano stati fissati al legno; la testa regale era trafitta da una corona di spine; quelle labbra tremanti esprimevano gemiti di dolore. Tutto quello che Egli ha sopportato, le gocce di sangue che scendevano dal suo capo, dalle sue mani e dai suoi piedi, l’agonia del suo corpo e l’inesprimibile angoscia della sua anima per la separazione dal Padre, annunciano a ogni uomo questo messaggio: è per te che il Figlio di Dio ha acconsentito a portare il peso del peccato, e per te ha strappato alla morte il suo dominio e ha aperto le porte del cielo. Colui che placò le onde agitate, che fece tremare e fuggire i demoni e le malattie, che aprì gli occhi ai ciechi e chiamò alla vita i morti, si offre sulla croce in sacrificio perché ti ama. Egli prende su di sé il peccato, subisce la collera della giustizia divina e diviene Egli stesso peccato, per amor tuo. SU 581.1
I presenti, in silenzio, osservavano la fine di quella scena terribile. Il sole risplendeva, ma la croce restava avvolta nelle tenebre. Sacerdoti e capi guardavano verso Gerusalemme: una densa nuvola si stendeva sulla città e sulla pianura della Giudea. Il Sole di giustizia, la Luce del mondo ritraeva i suoi raggi da quella città, che una volta aveva goduto di tanti privilegi. I lampi minacciosi della collera di Dio erano diretti verso Gerusalemme, la città destinata alla distruzione. SU 581.2
All’improvviso si dissipò anche l’oscurità che avvolgeva la croce, e Gesù, con voce chiara e risonante che parve riecheggiare attraverso tutto il creato, gridò: “È compiuto!... Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio”. Giovanni 19:30; Luca 23:46. Una luce avvolgeva la croce e il volto del Salvatore risplendeva di una gloria simile a quella del sole. Allora piegò il capo sul petto e spirò. SU 581.3
In mezzo alle tenebre orrende, apparentemente abbandonato da Dio, il Cristo aveva bevuto sino in fondo la coppa del dolore umano. In quelle ore terribili aveva confidato nella benevola accettazione del suo sacrificio, di cui il Padre aveva testimoniato nel passato. Egli conosceva il carattere del Padre, ne comprendeva la giustizia, la misericordia e il grande amore; e poneva la sua piena fiducia in colui alla cui volontà aveva sempre ubbidito con gioia. Affidandosi al Padre, in piena sottomissione, superò il senso del suo distacco. Per fede il Cristo riportò la vittoria. Mai prima la terra era stata testimone di un evento simile. La folla restò a contemplare il Salvatore come paralizzata e con il fiato sospeso. Riapparvero le tenebre, si udì un rimbombo simile a quello di tanti tuoni e vi fu un violento terremoto. I presenti furono scaraventati gli uni addosso agli altri: era una scena terribile di confusione e spavento. Grossi massi si staccarono dalle montagne vicine e precipitarono nella pianura. Alcuni sepolcri si aprirono e i morti uscirono dalle tombe. Sembrava che il creato si dissolvesse. Sacerdoti, capi, soldati, carnefici e tutta la folla, muti di terrore, giacevano a terra. SU 581.4
Nel momento in cui Gesù esclamò: “È compiuto!”, dei sacerdoti officiavano nel tempio. Era l’ora del sacrificio della sera. L’agnello, simbolo del Cristo, stava per essere immolato. Il sacerdote, con i sontuosi paramenti sacerdotali, aveva il coltello in mano, come Abramo quando stava per uccidere il proprio figlio. La folla contemplava attenta la scena. Ma in quello stesso momento la terra fu scossa perché il Signore stesso si avvicinava. Con un rumore lacerante la cortina interna del tempio fu strappata in due, da cima a fondo, da una mano invisibile e svelò agli occhi della folla il luogo in cui si manifestava la presenza di Dio. Lì, sul propiziatorio, il Signore esprimeva la sua gloria. Soltanto il sommo sacerdote sollevava la cortina che separava il luogo santissimo dall’altra parte del santuario, una volta l’anno, per fare l’espiazione dei peccati del popolo. Ma adesso quella cortina era strappata in due. Il luogo santissimo del santuario terreno aveva perso il suo carattere sacro. SU 582.1
Ovunque regnavano terrore e confusione. Il sacerdote stava per immolare la vittima, ma il coltello gli cadde dalla mano tremante e l’agnello fuggì. Il simbolo si era incontrato con la sua realtà nel momento della morte del figlio di Dio. Il grande sacrificio era compiuto. La via che dà accesso al santuario è aperta, una via nuova e vivente, accessibile a tutti; l’umanità peccatrice e sofferente non ha più bisogno di aspettare la venuta del sommo sacerdote. Da quel momento in poi il Salvatore avrebbe officiato in cielo come sacerdote e avvocato. Fu come se una voce vivente dicesse agli adoratori: “Sono cessati tutti i sacrifici e tutte le offerte per il peccato. Il Figlio di Dio è venuto secondo la sua Parola”. SU 582.2
“Ecco, io vengo (nel rotolo del libro è scritto di me) per fare, o Dio, la tua volontà”. Per “il proprio sangue, è entrato una volta per sempre nel santuario, avendo acquistata una redenzione eterna”. Ebrei 10:7; 9:12. SU 582.3